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Politica

Una globalizzazione a mosaico per le aziende europee

Il rapporto Merics-Camera di commercio europea in Cina rivela che le problematiche più preoccupanti, nel contesto del disallineamento delle principali economie, sono legate alla divergenza tra gli ecosistemi tecnologici della Cina e degli Stati Uniti e, in misura minore, dell’Ue, e all’armamento di determinate tecnologie, come i controlli export


15/01/2021 12:53

di Carlo Diego D'Andrea*

Cina
Carlo Diego D'Andrea

Niente più del deterioramento dei rapporti sino-americani, accelerato dalla guerra dei dazi del 2018, incarna il cosiddetto decoupling, ovvero il disaccoppiamento tra le principali economie del mondo allo scopo di rilocalizzare la produzione delle imprese americane fuori dalla Cina in settori ritenuti strategici. Le dinamiche di disaccoppiamento precedono in realtà la guerra dei dazi di numerosi anni; da quando Pechino ha aperto l’economia domestica quattro decenni fa, la Cina ha potuto beneficiare sia dell’interconnessione con il mercato globale in determinati settori sia dalla protezione nazionalistica di altri settori, per i quali la leadership cinese ha limitato la partecipazione straniera al fine di creare dei campioni commerciali nazionali. Le recenti tensioni geopolitiche hanno semplicemente accelerato le tendenze di biforcazione già in moto da tempo.

In un nuovo rapporto pubblicato in collaborazione con Merics, la Camera di commercio europea analizza come le aziende europee stiano fronteggiando la nuova realtà di «globalizzazione patchwork». Il rapporto rivela che le problematiche più preoccupanti nel contesto del disaccoppiamento sono legate alla divergenza tra gli ecosistemi tecnologici della Cina e degli Stati Uniti e, in misura minore, dell’Ue, e all’armamento di determinate tecnologie, come i controlli export che l’America ha imposto per i semiconduttori al fine di isolare le società di telecomunicazione cinesi Huawei e Zte. Il rischio di una potenziale espansione di questa tattica di isolamento per colpire più aziende cinesi, o addirittura interi settori, è molto reale, il che comporta che anche le società europee che operano in Cina siano altamente esposte. Esse potrebbero direttamente perdere l’accesso al mercato dei semiconduttori, o potrebbero vedere i propri fornitori privati dell’accesso allo stesso mercato, o potrebbero ancora subire un calo improvviso della domanda con conseguente chiusura di determinate aree di produzione.

 La pandemia ha strozzato la produzione dei semiconduttori europei importati in Cina alla fine del 2020, costringendo molti produttori automobilistici cinesi che fanno affidamento su questa tecnologia a interrompere interamente la produzione. I fornitori stimano che potrebbero volerci dai sei ai nove mesi per gestire la domanda. Ciò dimostra l’entità della turbolenza commerciale causata da carenze di produzione, la quale si aggiunge a un blocco deliberato da parte degli Stati Uniti e altri attori globali. La minaccia del disaccoppiamento digitale è motivo di grave preoccupazione per tutti i settori. La campagna «US Clean Network» mira a eliminare la tecnologia cinese dalle catene di approvvigionamento a servizio degli americani. Per esempio, sono state esercitate pressioni sulle aziende per identificare la nazionalità o l’ubicazione fisica dei programmatori di segmenti di codice.

Da parte cinese, iniziative volte a creare un ecosistema tecnologico autosufficiente e una tecnologia «autonoma e controllabile», unite a barriere di mercato nelle industrie della tecnologia digitale, alimentano il protezionismo e costringono aziende straniere ad integrare sempre più i propri prodotti e servizi con il sistema locale. Ciò sta spingendo le aziende europee verso uno dei due approcci. Il primo modello, il «sistema duale», attraverso cui esse creano un sistema di ricerca e sviluppo insieme e una catena di approvvigionamento per servire esclusivamente la Cina, e uno per fornire il resto del mondo. Tale configurazione garantisce alle aziende in Cina di continuare a operare nel Paese ma è estremamente costosa e, quindi, irrealizzabile per molte di queste, specialmente per le piccole e medie imprese prive delle risorse e del volume di produzione necessari per compensare i costi. Il secondo è un approccio ad «architettura flessibile», secondo cui la tecnologia viene sviluppata in un contesto neutro che consente la sostituzione ad hoc di certi componenti chiave, rendendo il prodotto finale accettabile sia sul mercato statunitense sia su quello cinese. Più economica del «sistema duale», tale «architettura flessibile» ha tuttavia come rischio la riconfigurazione di intere catene di approvvigionamento qualora gli Stati Uniti o la Cina vietassero le importazioni di determinate tecnologie precedentemente accettate da entrambi i mercati. Con l’«architettura flessibile» si rischia inoltre che i prodotti finali non siano ottimali e che le aziende non siano necessariamente in grado di utilizzare la migliore tecnologia disponibile a livello globale.

Mentre entrambi gli approcci comportano costi elevati, lo scenario alternativo potrebbe vedere le stesse imprese abbandonare completamente il mercato cinese. Benché questo disaccoppiamento tecnologico sia in una certa misura inevitabile e sia già in corso in numerose aree, l’accordo sugli investimenti (Cai) offre uno spiraglio di possibilità che potrebbe riavvicinare l’Ue e la Cina. La speranza è che il Cai sia esauriente a sufficienza per poter affrontare almeno parte dell’incertezza prodotta dal disaccoppiamento. È improbabile che l’imminente cambio di amministrazione negli Stati Uniti metta fine al decoupling.

Pertanto, occorre che le imprese europee si preparino per affrontare una realtà nuova di «globalizzazione a mosaico», almeno nel medio termine. Mappare potenziali vulnerabilità, preparare strategie di controllo e sviluppare task force aziendali non sono che alcune delle azioni chiave per ridurre l’esposizione delle imprese straniere a pressioni strutturali. Colte nel mezzo di tensioni geopolitiche, le aziende europee continueranno a essere esposte a un’economia mondiale in graduale biforcazione. Il modo migliore per andare avanti sarà prepararsi al peggio. (riproduzione riservata)


*vicepresidente nazionale e presidente della sezione di Shanghai della Camera di Commercio Ue


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