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Opzione BRI per rilanciare il ruolo di Hong Kong in Cina

Il peso del "porto profumato" sull'economia cinese non è più quello che aveva nel 1997, anno del ritorno alla Cina. La via potrebbe essere diventare il pivot dell'internazionalizzazione dello yuan lungo la nuova Via della Seta, ma le proteste che durano da nove settimane stanno mettendo in crisi l'economia


12/08/2019 13:27

di Saro Capozzoli*

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Proteste a Hong Kong

Hong Kong sta vivendo una delle stagioni più difficili dopo l’emergenza pandemica della SARS del 2003. Tutto è iniziato con un crimine perpetrato da un residente di Hong Kong che l’anno scorso avrebbe ucciso la sua ragazza a Taiwan. Rifugiatosi a Hong Kong, con l’assenza di accordi specifici, non si è potuto estradarlo per processarlo.

Il governo di Hong Kong ha quindi proposto di varare un provvedimento per consentire l'estradizione di indagati, non soltanto con Taiwan ma con qualsiasi Paese con il quale non esiste ancora un accordo di estradizione, compresa la Cina continentale. Sono quindi scoppiate le proteste e, quello che è iniziato come un movimento contro il disegno di legge di estradizione, si è così trasformata nella più grande sfida verso la Cina continentale da parte di dissidenti

 Un gruppo di attivisti sta però ora alzando il tiro rinnovando le richieste per una maggiore democrazia nel territorio, chiedendo persino l'indipendenza , organizzando sit-in presso l’aeroporto di Hong Kong e facendo cancellare centinaia di voli al giorno. 

Queste proteste, considerate ora eccessive e dannose dalla maggioranza dei cittadini, generano molti malumori nella popolazione locale che preferisce un ritorno allo status quo e al “business as usual”. Infatti, l’impatto delle proteste sull’economia di Hong Kong è importante dal momento che le attività commerciali del settore privato sono precipitate al livello più basso dalla crisi finanziaria del 2008, e tutto questo si aggiunge alle tensioni e alla guerra commerciale con gli Stati Uniti.

Intanto anche l'ultimo rilevamento del IHS Market Hong Kong purchasing managers’s index, che misura l'attività del settore privato sul territorio, è sceso ulteriormente a 43,8 a luglio dal 47,9 di giugno, segnando il calo più marcato dell'indicatore da marzo 2009. Un indice inferiore a 50 rappresenta una contrazione, e questa tendenza perdura già da mesi.

In che modo Cina e Hong Kong dipendono l'una dall'altra e quale è il ruolo degli USA? Hong Kong è già diventata un tema nella guerra fredda che si sta sviluppando tra Cina e America. Il governo cinese è convinto che dietro certe proteste ci sia una regia della destra sovranista statunitense. Si registrano incontri tra personale del Consolato USA con gli attivisti, che non sono passati inosservati.

Persino gli incontri avvenuti tra attivisti e alti funzionari e membri del Congresso Usa sono stati indicati come prova che l'America stia usando i disordini per far accrescere la pressione sul Partito comunista cinese mentre si discute con gli Usa sul commercio, ma in generale per mettere in difficoltà i cinesi anche rispetto le possibili implicazioni con la situazione sempre tesa con Taiwan.

La Cina non è più così direttamente dipendente da Hong Kong per il suo benessere economico come una volta, quando per le imprese straniere che operavano dal territorio, l'esperienza manageriale e l'accesso ai mercati internazionali attraverso il suo porto erano fondamentali. Al momento della consegna nel 1997, l'economia di Hong Kong pesava quasi un sesto di quella cinese, oggi non più del 3%. Il suo porto, grazie alla quale Hong Kong è oggi l’ottavo esportatore mondiale di merci,non è più così fondamentale per la Cina.

Inoltre la borsa dell'ex colonia britannica, quarta al mondo per dimensioni, dipende moltissimo dai capitali cinesi dato che circa il 70% dei capitali raccolti sul mercato sono destinati alle imprese cinesi quotate, come le società tecnologiche Tencent, Meituan e Xiaomi.

Hong Kong si pone come un fragile ponte tra la Cina e il mercato globale. Molte aziende scelgono Hong Kong proprio perché ben collegata con l'enorme mercato cinese. La maggior parte degli investimenti diretti esteri cinesi sono effettuati passando da Hong Kong, infatti lo stock di capitali presenti sul territorio è quasi raddoppiato nell'ultimo decennio, toccando circa i 2.000 miliardi di dollari

Hong Kong è comunque da tempo alla ricerca di un nuovo ruolo nel contesto mutato rispetto i rapporti con la Cina, sfruttando il vantaggio di vicinanza geografica ma anche dell’esperienza internazionale acquisita in oltre 100 anni di rapporti stretti. Stretta tra Shanghai, dove le grandi multinazionali, recentemente Lufthansa e Coca Cola, tendono a trasferire il proprio hub operativo sulla Cina continentale, e Singapore sempre più hub per il Sud-est asiatico, Hong Kong potrebbe ambire a divenire il pivot per le transazioni transnazionali in renminbi oltre che essere una piattaforma-ombrello per certi investimenti in Cina.

Potrebbe aspirare a diventare il più grande centro offshore di yuan cinesi al mondo, grazie al fatto che sempre più paesi nel mondo accettano transazioni in renminbi invece che in dollari Usa. Potrebbe in sostanza capitalizzare lo status di "un paese due sistemi", instaurato dalla Cina al momento del changeover, per aiutare le imprese cinesi ad operare meglio sui mercati esteri, in particolare in quelòli toccati dalla Belt and Road Initiative.

Le proteste di questi giorni hanno però danneggiato notevolmente l’immagine di Hong Kong in Cina, si è creato un sentimento negativo dato che per oltre 40 anni il territorio ha utilizzato il proprio rapporto privilegiato con la Cina per arricchirsi e divenire una delle città più sviluppate e ricche del pianeta. 

Chi oggi protesta non può ignorare l’importanza di essere parte integrante di un così grosso Paese. Pensare di diventare una entità a sé stante è come condannare al default la città che è strettamente interdipendente dalla Cina. Anche i governanti di Hong Kong hanno però delle colpe gravi avendo preferito inseguire un benessere più vicino ai ricchi, per esempio rendendo il prezzo degli immobili, inavvicinabili al cittadino medio, bloccando la costruzione di nuovi insediamenti nei territori liberi. Si sarebbe dovuto lavorare in una migliore integrazione per fruttare l’innovazione per divenire leader tecnologico oltre che hub finanziario.

Rivendicazioni per una maggiore apertura possono essere condivisibili, ma non è comprensibile cosa vorrebbe essere Hong Kong senza la Cina dopo oltre un secolo di simbiosi. Dopo nove weekend di proteste, in molti richiamano la situazione creatasi con i gilet gialli in Francia, finiti nel nulla dopo le elezioni Europee. Che ci sia anche qui una regia esterna ad alimentare il caos? A chi gioverà tutto questo?

* fondatorte e ceo di Jesa Capital, società di advisory attiva a Shanghai da oltre 20 anni


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