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Azienda Agricoltura

Agroalimentare, si temono forti perdite di export verso la Cina

Rischiano le esportazioni di vino, un terzo del totale di prodotti italiani venduti in Cina nel 2019. Annulate due manifestazioni, a Hong Kong e Singapore, per la promozione del vino italiano. Il blocco delle attività nel Dragone si riverbera sul trasporto per via della chiusura degli uffici doganali. Al porto di Genova, unico in Italia ad avere navi dirette da e per la Cina, potrebbe esserci forti rallentamenti delle rotte nei prossimi mesi


12/02/2020 15:31

di Mariangela Latella - Class Editori

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Sandro Boscaini, presidente Federvini e dell'azienda Masi

L’emergenza coronavirus rischia di dimezzare l’export agroalimentare italiano in Cina e di rallentare la corsa del food made in Italy nel mercato asiatico che nel periodo 2010-2018 è più che raddoppiata.

«Fino ad ora non abbiamo registrato rallentamenti», ha rassicurato a Italia Oggi Sandro Boscaini, presidente di Federvini e del gruppo Masi Agricola, «anche perché lavoriamo con un distributore cinese molto solido, Asc Fine Wines, che mantiene livelli di stock di circa quattro mesi. L’ultimo ordine è partito a fine gennaio, prima dello scoppio dell’emergenza».

La misure di prevenzione del contagio hanno però portato all’annullamento di eventi chiave il Great Wines of Italy a Hong Kong e il Master of taste a Singapore. Lo stop alla promozione del vino italiano in Cina rischia di vanificare le azioni realizzate nel 2018-2019 sotto l’egida del ministero dello sviluppo economico e in collaborazione con l’Ice, da cui ci si aspettava, ora, di raccogliere i frutti.

Il vino è il principale prodotto alimentare esportato, che vale un giro d’affari da 155 milioni di euro l’anno (11 volte inferiore a quello della Francia) e rappresenta il 30% circa del totale dell’export made in Italy.

L’emergenza globale scoppiata a fine gennaio rende difficili le previsioni anche perché i transit time delle merci verso il Far east oscillano tra i 45 e i 60 giorni; dunque non ci sono ancora feedback di comparto. Ma, qualora il tempo di rientro dell’epidemia fosse di sei mesi, come è stato, nel 2002, per la Sars, questo comporterebbe, in sostanza, un rallentamento dei commerci del 50%.

In questo caso si realizzerebbero perdite per l’export agroalimentare italiano in Cina di circa 200 milioni di euro, se si considera che il relativo fatturato annuo è di circa 450 milioni di euro a fronte di importazioni dalla Cina di oltre 600 milioni di euro.

Il blocco delle attività, poi, si riverbera anche sul trasporto per via della chiusura degli uffici doganali. Una situazione che, per il porto di Genova, unico in Italia ad avere navi dirette da e per la Cina, potrebbe comportare rallentamenti delle rotte tra il 18 e il 25% nei primi sei mesi dell’anno.

Nel settore dell’ortofrutta fresca, è saltata la missione di incoming del Distretto agrumi di Sicilia, che avrebbe dovuto portare un gruppo di buyer e giornalisti cinesi a visitare gli impianti di arance rosse. «Dopo il vino, l’8% dell’export agrifood italiano in Cina è rappresentato dai formaggi, che però non sono molto consumati in Cina; il 6% dall’olio; il 5% dall’ortofrutta trasformata,» ha spiegato Marco Barbetta, responsabile ufficio studi di Cia, «quasi nullo l’impatto sull’export ortofrutticolo, dato che possiamo esportare solo kiwi e agrumi e che, allo scoppio dell’epidemia, la campagna kiwi era alle sue battute finali. Si teme, però, un effetto di ritorno sul sistema Italia per via del calo delle affluenze turistiche che si riverbereranno sulle attività di ristorazione in generale e degli agriturismi in particolare».

In Cina, intanto, è emergenza alimentare. La politica di Pechino dello stay home ha bloccato la catena di fornitura con scaffali vuoti, negozi chiusi e una carenza di cibo del 50%. «I contadini», spiega KJ Ho della multinazionale cinese Pan Gu Farmer, «sono costretti a estirpare le coltivazioni e ad ammazzare gli allevamenti perché non riescono a vendere e non possono permettersi di mantenerli».

Secondo Confagricoltura, a causa dell’epidemia, ci saranno ritardi nell’applicazione del nuovo accordo commerciale tra Usa e Cina che prevede un aumento dell’export americano verso Pechino, di 16 miliardi di dollari l’anno per arrivare a un giro d’affari di 80 miliardi nel 2021 con la necessità per gli Usa di cercare altri mercati di sbocco, dove riversare i propri prodotti in attesa del rilancio degli acquisti cinesi.

Il rallentamento del commercio con Pechino, però, incide anche sulle importazioni dalla Cina con la possibilità di offrire nuove opportunità, per esempio, ai produttori di aglio che attualmente viene importato massicciamente dal colosso asiatico. «Cresce anche il rischio di import illegale dalla Cina», segnala Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, «basti pensare alle 10 tonnellate di carne suina sequestrate recentemente e importate illegalmente nel sottofondo di un camion». © Riproduzione riservata


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