La popolazione cinese non sarebbe più incline come nel passato a nutrirsi della carne di maiale e dalle prime avvisaglie il trend dei consumi ne starebbe risentendo. Se confermata, si tratterebbe di una piccola grande rivoluzione con un impatto non secondario sull'economia.
Quando due anni fa era esplosa la febbre suina, si erano presi in considerazione e analizzati tre fattori. L’epidemia che aveva costretto l’abbattimento di milioni di capi, la soluzione per garantire l’approvvigionamento considerando il forte incremento del prezzo di vendita ed infine la razionalizzazione degli allevamenti per evitare in futuro il ripresentarsi dell’epidemia.
Ora il possibile ritorno della febbre suina ha rimesso in gioco i prezzi di produzione e di vendita. Gli allevatori, consapevoli di quanto era accaduto nel recente passato stanno cercando di vendere il prodotto al ribasso per evitare, nei prossimi mesi, di dovere abbattere i capi con ingenti perdite economiche.
La febbre suina, classificata come malattia virale ancorché non zoonotica cioè senza rischio di trasmissibilità allo stato attuale sull’uomo, è ancora ritenuta una dei maggiori fattori di rischio anche perchè non esiste un vaccino ufficiale e si stanno ricreando focolai all’interno del territorio cinese. Per questa ragione sono stati temporaneamente sospesi i trasporti di animali vivi o congelati nel territorio.
Chi sta soffrendo di più, in questa congiuntura, sono i piccoli allevatori stretti in una morsa che vede da un lato l’incremento dei costi di mantenimento, dall’altro la riduzione dei prezzi di vendita che hanno subito un calo del 54% rispetto al gennaio scorso a 2,75 euro al kilogrammo, secondo dati pubblicati dal Ministero dell’Agricoltura e degli Affari Rurali.
Tra l'altro l’importazione di soia, grano e granoturco dagli Stati Uniti, Canada e in parte Australia con i costi di trasporto aumentati del 150%, penalizza gli allevatori di suini ma anche di pollame. La soia importata nei primi cinque mesi di quest'anno, 38,23 milioni di tonnellate, di cui un terzo solo da Usa e Brasile, è il 44% in più del 2020.
Per monitorare quanto sta succedendo la NDRC (National Development Reform Commission) ha manifestato l’intenzione nei prossimi giorni di creare una metodologia di calcolo denominata “Hog-to-grain ratio“ (dal maiale al grano) che si sostanzierà nel rapporto tra prezzo di vendita e costo dell’alimentazione necessaria ad ottenere un capo almeno di 150 kilogrammi per contemperare le esigenze del produttore con la domanda.
L’altro strumento, utilizzato nella precedente epidemia del 2019 è quello di aumentare le riserve nazionali di carne di maiale come soluzione estrema a fronte di ragioni oggettive di carenza di prodotto. Per completare il quadro di riferimento una nota sulle importazioni effettuate nel 2020 che sono state pari a 4,3 milioni di tonnellate.
Ma il dato curioso è che vi siano le prime avvisaglie di una diminuzione dei consumi orientati verso altri generi di carne o addirittura di tipologie di prodotti. Questo atteggiamento di scelte diverse nel campo alimentare potrebbe indicare l'orientamento verso un più generale cambiamento nello stile di vita che riguarda anche alla politica della natalità.
Recentemente il Presidente Xi Jinping ha ripreso con enfasi l’invito al terzo figlio senza per altro riscuotere un particolare apprezzamento da parte della popolazione, in special modo la classe media ovvero lo zoccolo duro del consumo attuale.
Potrebbe l’impermeabilità della tradizione subire delle infiltrazioni che condizioneranno la vita futura della popolazione cinese? Sul fronte del consumo di carne sta nascendo un interesse per le alternative vegetali o prodotti plant based tra cui la californiana Beyond Meat con i suoi hamburger vegetali.
D’altro canto, la Cina consuma ancora il 28% della carne mondiale pari a 86 miliardi di dollari e la metà è carne di suino. Per ridurre l'emissione di gas serra entro il 2030, nel 2016 il governo centrale aveva fissato le linee guida per la riduzione del consumo di carne del 50% con una quantità giornaliera tra i 40 gr. e i 75 gr. pro-capite. L’obiettivo sarebbe di ridurre il consumo di carne di un miliardo di tonnellate entro fine decennio.
Ancora una volta la geopolitica si coniuga e condiziona l’alimentazione. Nel Food Security Plan del 2019 si leggeva:” Le ciotole dei cinesi devono poggiare saldamente nelle nostre mani. Fare affidamento interamente sui mercati internazionali per alimentare 1,4 miliardi di abitanti è un rischio troppo grande per il Governo cinese”. Tutto questo si verificherà o le contraddizioni in essere non permetteranno il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Il momento storico è particolarmente di difficile lettura: importazioni cresciute a dismisura in Cina, grandi opportunità nelle esportazioni del Made in Italy, dual circulation e prese di posizione del G7 cui le risposte non si faranno attendere. "La macchina del mondo è troppo complessa per la semplicità degli uomini". (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni