MENU
Azienda Agricoltura

I consumatori cinesi premiano il latte italiano per la qualità

Si apre a Shanghai il SIAL, la più grande fiera asiatica sull'innovazione in campo alimentare: ottima opportunità quale vetrina per i prodotti alimentari tricolori. Molti Paesi puntano sull'export di un prodotto industriale di larga scala. L’Italia si distingue nel latte tradizionale con una qualità molto elevata che deriva dalla legislazione, dalla tracciabilità e dal ciclo nutrizionale dei bovini


15/05/2019 17:26

di Marco Leporati* - Class Editori

Il latte italiano può puntare sulla Cina

Parlare con Michelle Wu, imprenditrice cinese nel settore dei prodotti organici che, attraverso la sua società, Shanghai Lemeng Information Technology, importa di alcuni marchi italiani, permette di fare alcune considerazioni sul consumo del latte in Cina, tenuto conto del suo fattore nutrizionale  trasversale per le persone di tutte le età.

Fino agli anni Ottanta, il latte bovino e ovino era consumato in quantità limitate in quanto più costoso. Quest’ultimo veniva distribuito a domicilio e destinato ai bambini sino ai sei anni, ovvero sino all’inizio della scuola elementare.

Piuttosto, la Cina si affidava alla soia che, attraverso un processo semplice con macchine di tecnologia elementare, veniva utilizzata per produrre anche in casa il cosiddetto latte di soia.

Mo Yan, grande scrittore cinese, vincitore del Nobel, inserisce spesso questo alimento nei suoi romanzi d’antan: ”Comprai due etti e mezzo di strisce di pasta ed una ciotola di latte di soia,” (da Cambiamenti).

E della soia in Cina si parla già durante la dinastia Zhou (1046-256 a.c.), dove era classificata tra le cinque piante sacre oltre a riso, frumento, orzo e miglio; mentre le prime prove dei suoi derivati risalgono alla dinastia Han, con la pasta di soia (jiang) ritrovata in una tomba sigillata nel 165 a.c., parte del corredo funebre.

Una nota a parte deve essere spesa per il latte di Yak, utilizzato soprattutto nell’area del Tibet e della provincia dello Yunnan, certamente correlato ad un diverso modello di vita.

Negli anni Novanta sono iniziati i primi allevamenti di bovini per la produzione del latte, non in scala industriale ma ancora a livelli di piccole imprese familiari o consortili nei villaggi agricoli.

Le prime importazioni di latte dall’estero sono iniziate intorno all’anno Duemila ed era  stata la Germania l’apripista,seguita successivamente da Stati Uniti, Francia per giungere a Spagna, Polonia, Slovenia e Italia. Australia e Nuova Zelanda ne hanno beneficiato maggiormente anche in virtù di un accordo commerciale di libero scambio a dazio zero.

Proseguendo nella digressione, possiamo ai giorni nostri sintetizzare il mercato del latte nelle seguenti macroaree: produzione autoctona anche per yogurt e derivati; latte importato non pastorizzato a lunga conservazione; latte organico; e latte in polvere per neonati.

La produzione industriale autoctona, iniziata negli anni Novanta, oggi ha raggiunto standard qualitativi molto elevati; buona parte di questa per l’alta redditività è destinata al mercato degli yogurt e derivati e per quella che viene definita “infant formula” ovvero il latte in polvere per neonati.

Le società tra le Top 500 in questo settore merceologico hanno allevamenti tra i sessanta e i centomila capi in diverse aree territoriali della Cina ed entro il 2020 il Consiglio di Stato, l’esecutivo nazionale, ha previsto che la Cina arriverà a produrre il 70% del proprio fabbisogno.

Certo che, di fronte a questo gigantismo produttivo, si prospettano due tipologie di problemi: da un lato la percentuale batteriologica presente nel latte prodotto in Cina è  ancora venti volte superiore ai livelli europei; dall’altro il suo abbattimento ha come conseguenza un’alterazione nel gusto rasentando una omogeneità convenzionale.

Ma se analizziamo anche la produzione estera non abbiamo grandi riscontri in termini di gusto: il latte australiano, per esempio, subisce una variazione dovuta alla stagionalità, dove il clima secco e torrido dell’estate condiziona l’alimentazione dei bovini, e va a modificare il gusto stesso del prodotto.

Anche gli altri Paesi puntano molto su di un prodotto industriale di larga scala. L’Italia, da questo punto di vista, si distingue nel latte tradizionale con una qualità molto elevata che deriva dalla nostra legislazione, dalla tracciabilità e dal ciclo nutrizionale dei bovini.

Oggi, in Cina, 80% del latte importato viene venduto online perché nella grande distribuzione è necessario per i distributori avere proprio personale che controlla settimanalmente la shelf life del prodotto e provvede alla conseguente rotazione. Questo servizio ha costi eccessivi per cui la fornitura in scadenza viene semplicemente restituita al distributore per la distruzione – litri di latte importato e distrutto: situazione inammissibile per l’ambiente.

Non esiste in Cina una produzione di latte organico se non per piccole imprese di nicchia.

Attualmente il latte organico viene importato dagli Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Italia, ma tutti questi Paesi non hanno una produzione sufficiente che possa garantire continuità nel mercato cinese.

L’importazione del latte organico, a differenza di quello tradizionale, per il quale si richiede solo l’autorizzazione del CIQ (China Inspection Quarantine) a fronte di certificazioni di analisi redatte dalle autorità sanitarie competenti, è molto complessa.

Le aziende produttrici devono essere visitate annualmente da ispettori cinesi (come avviene per i macelli in Italia autorizzati per l’esportazione in Cina del prosciutto di Parma e mortadella) e sono necessarie 23 certificazioni da ottenere da società cinesi delegate dal Ministero dell’Agricoltura e dall’Organic Federation. Ogni confezione, una volta approvata, ha una propria etichetta quale sigillo progressivamente numerato.

E concludiamo questa rapida rassegna parlando del latte in polvere per neonati.

Nel 2008 la China’s Sanlu Group era stata oggetto di scandalo per aver usato nel latte in polvere la melanina. Da quel momento le preoccupazioni delle famiglie cinesi erano aumentate e vi è stata per anni la corsa all’acquisto di prodotto importato.

La Nuova Zelanda è il principale esportatore di latte in polvere. In Cina molte società si stanno attrezzando per produrre le quantità necessarie: un solo esempio è la Junlebao Dairy che ha come obiettivo per questo anno 75 milioni di barattoli.

Chiudo questa nota con un commento di Michelle che sostiene, in veste di esperta e di utilizzatrice, che il latte italiano è il migliore sia per le proprietà organolettiche che per il gusto al palato.

Questa settimana si aprirà a Shanghai una nuova edizione del SIAL, la più grande fiera asiatica sull’innovazione in campo alimentare: ottima opportunità quale vetrina per i nostri prodotti alimentari.

* general manager di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica, attiva in Cina da oltre 25 anni.


Chiudi finestra
Accedi