MENU
Azienda Agricoltura

L'export di formaggi italiani in Cina a rischio per la guerra dei dazi

Particolarmente preoccupati per l'andamento del business, che quest'anno ha fatto registrare un aumento del 35%, sono i produttori di Grana Padano, di Parmigiano Reggiano e di mozzarelle, oltre ad alcune grandi aziende tra cui Granarolo e Auricchio. Si attende una proposta di mediazione per il G7 Agricoltura, in programma per il 21 settembre in Sicilia


30/08/2024 12:14

di Franco Canevesio - Class Editori

settimanale
Stefano Berni, presidente del consorzio Grana Padano

A pagare le spese della guerra commerciale tra Cina e Ue, avviata dalla decisione dell'Unione di porre dei dazi sull'import di auto elettriche dalla Repubblica popolare, sarà soprattutto il settore lattiero caseario europeo e quello italiano più di tutti. Secondo Coldiretti è a rischio la crescita dell’export di formaggi made in Itay in Cina, che, nei primi cinque mesi di quest'anno, ha fatto segnare un incremento del 35% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La mossa di Pechino, ha sottolineato Coldiretti «pone per l’ennesima volta il cibo italiano come merce di scambio nei contenziosi politici ed economici scoppiati su altri settori e che, come accaduto in passato, rischia di avere contraccolpi sull’intero export agroalimentare nel Paese asiatico che vale 590 milioni di euro».

Dice chiaramente "no alla guerra dei dazi con la Cina" il Consorzio tutela Grana Padano. «Se proprio di dazi si deve parlare, dobbiamo provare a contenere la misura della Cina entro le somme che paghiamo oggi per fare entrate i nostri prodotti negli Stati Uniti, vale a dire circa il 10% del valore del prodotto: un dato molto migliorativo rispetto ai dazi di Donald Trump che arrivavano al 40% del valore», ha sottolineato il direttore generale del Consorzio, Stefano Berni, che ha incontrato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: un incontro da cui è scaturita la volontà di trovare una soluzione per contenere i dazi cinesi. Una proposta verrà discussa al G7 Agricoltura che si terrà in Sicilia dal 21 al 28 settembre.

Tra i prodotti Dop, il Grana Padano è il leader mondiale nel consumo con 5.456.500 forme prodotte nel 2023 e con un export che già nei primi mesi del 2024 è ulteriormente cresciuto, arrivando a rappresentare circa il 52% del prodotto commercializzato che vale, al consumo, 3,7 miliardi grazie al lavoro di quattromila stalle che producono un latte che viene remunerato, record italiano, a 64 centesimi al litro. «Per il Grana Padano, la Cina è un mercato in decisa crescita e quindi saremmo sicuramente penalizzati», ha aggiunto Berni, «i produttori di Grana Padano hanno già subito blocchi in Russia nel 2014 quando ci fu l’invasione della Crimea e persero completamente un mercato che si stava rivelando interessantissimo avendo allora raggiunto in pochi anni le 50.000 forme annue». Il direttore del Consorzio chiama in causa anche i diritti dei consumatori: «noi siamo a favore della libera scelta del consumatore legata a prezzi corretti che non vengano eccessivamente gravati da dazi di ingresso, costi aggiuntivi di derivazione politica oltre a quelli fisiologici dettati dalla qualità dei prodotti posti in vendita».

Anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano segue con apprensione la vicenda dei dazi. «Quel ci preoccupa, al di là della questione cinese è che si avviino misure comunque restrittive del commercio mondiale dei latticini», spiega Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio che vanta 161.700 tonnellate di Parmigiano prodotto, esportato per il 47%, per un valore alla produzione di 1,7 miliardi di euro, «la Cina vale circa 35 tonnellate di prodotto e gli Usa ben il 25% del totale esportato che significa 20mila tonnellate: ora negli Usa i farmer producono latte che vendono a 28 centesimi causa il crollo del consumo di latte fresco e il rischio è quello di provvedimenti di tutela che colpiscano in maniera indiscriminata anche chi, come noi, copre solo il 5% del mercato dei Parmesan a stelle e strisce».

Preoccupato anche Gian Domenico Auricchio, amministratore delegato della Auricchio che ha chiuso il 2023 con ricavi intorno a 400 milioni di euro. «Per noi la Cina è un mercato interessante già oggi e con grandi prospettive per il futuro vista la crescita della ricchezza media del Paese e la voglia che i cinesi hanno di sperimentare non solo il lusso della moda ma anche del cibo. E quando assaggiano il cibo italiano a casa nostra come turisti poi iniziano a cercarlo anche in patria». Preoccupazioni forti anche dal mondo delle mozzarelle. «È un brutto segnale l'utilizzo strumentale dei formaggi di eccellenza in polemiche che non riguardano il settore», ha sottolineato il direttore del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop, Pier Maria Saccani, «servirebbe l'esatto opposto, a partire da una politica doganale che non costringa le eccellenze come la mozzarella di bufala campana Dop a settimane di attesa per il via libera sanitario in Cina.

La Cina è un mercato dalle enormi potenzialità in cui siamo già penalizzati e che non riusciamo a sfruttare, tanto che la mozzarella Dop fa registrare un export di circa l'1%, con un valore di poco superiore al milione di euro. Serve concentrarsi sulle difficoltà e su un dialogo nuovo, il ritorno al passato non serve a un mondo in rapida evoluzione. Chiediamo di metterci nelle condizioni di poter competere nel mondo, il resto lo fa la bontà del nostro prodotto. Noi produciamo eccellenze che tutto il mondo ci invidia. Un mercato libero non può che favorire lo sviluppo del nostro comparto» ha concluso Saccani.

Anche Gianpiero Calzolari, presidente del gruppo Granarolo, sottolinea «la decisa crescita dell'export caseario italiano verso la Cina, dove ci sono opportunità interessanti» e che attualmente sviluppa per Granarolo giro di affari da 10 milioni di euro. «Funzionano bene il mascarpone, la panna, il latte Uht e il latte per bambini», ha precisato, auspicando che «l'Italia e l'Unione Europea si impegnino a tenere aperti i canali commerciali. Dobbiamo stare attenti a non innamorarci troppo del protezionismo di casa nostra» e ribadendo l'importanza dell'export che copre il 40% del fatturato di Granarolo in una fase in cui il mercato italiano «è solido ma stagnante mentre il consumo di latte è in flessione». (ripoduzione riservata)


Chiudi finestra
Accedi