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Azienda Agricoltura

La peste suina offre chance alle carni italiane in Cina

I focolai provinciali sono esplosi dall’agosto 2018. Dai 428 milioni di capi esistenti, censiti alla fine di dicembre 2018 si è passati rapidamente ai 375 milioni di fine marzo con una prospettiva al ribasso nei prossimi mesi se non negli anni a venire. La Spagna è il primo esportatore europeo nella Repubblica popolare


06/05/2019 12:46

di Marco Leporati* - Class Editori

La peste suina apre opportunità per il maiale italiano
I focolai di peste suina

Non è facile raccontare la storia del maiale in poche righe per giungere ad una conclusione che vede, sia in Italia per un verso che in Cina per l’altro, l’esistenza di una problematica, apparentemente senza una soluzione imminente.

Nel passaggio della nostra storia (periodo olocenico) da una condizione dell’uomo cacciatore-raccoglitore ad agricoltore con la fase saliente della domesticazione degli animali, il maiale, in compagnia del bue, della pecora, della capra e del cavallo è stato una delle cinque specie vitali per l’esistenza umana.

A differenza di altre specie era stato addomesticato in Cina nel 8.000 a.c. e dall’Asia Sudoccidentale era migrato nell’area della Mezzaluna fertile ovvero nella più importante zona dell’Asia occidentale che, lambendo parte del bacino del Mediterraneo, è stata il fulcro dello sviluppo della nostra civiltà. Fu invece bandito nei secoli successivi dai Paesi di tradizione mussulmana.

 Il maiale trova poi il suo apogeo durante l’Impero romano dove viene consumato in grande quantità anche attraverso la salagione e l’affumicatura di tutte le sue parti ed in seguito diventa componente essenziale sia nelle tavole rinascimentali, forse eccessivamente speziato dagli scalchi o maestri di cucina sia nella tradizione popolare: ricordiamo l’uccisione del maiale nella scena cult del film di Bertolucci “Novecento”, nonché in molte pagine della nostra letteratura.

In Cina invece, il maiale è sempre stato usato appena macellato ad eccezione del cosiddetto prosciutto di Jinhua, nella provincia dello Zejiang che, attraverso un processo di salagione, veniva utilizzato da secoli per preparare abitualmente le famose zuppe.

Ritornando ai giorni nostri, purtroppo, dobbiamo prendere atto che in Italia negli ultimi quattro anni sono state chiuse novemila imprese  di allevamenti di suini a causa del prezzo di vendita inferiore al costo di produzione per unità di prodotto. Infatti, per i severi parametri previsti da protocolli per la produzione del prosciutto solo una parte del maiale acquista valore mentre il resto è attualmente fuori mercato a favore della concorrenza europea, soprattutto spagnola.

Specularmente per la Cina vi è un gigantismo del fenomeno dovuto alla peste suina (denominata African swine fever) con focolai provinciali esplosi dall’agosto 2018 e ormai con una diffusione su buona parte del territorio cinese,compresa perfino l’isola di Hainan. La conseguenza è che dai 428 milioni di capi esistenti, censiti alla fine di dicembre 2018 si è passati rapidamente ai 375 milioni di fine marzo con una prospettiva al ribasso nei prossimi mesi se non negli anni a venire. La media annuale della produzione in Cina era di circa 433 milioni di capi pari al doppio della produzione annuale americana e della metà di quella mondiale.

Da qui la necessità per la Cina di importare carni suine per il consumo domestico. Uno dei maggiori Paesi esportatori è il Brazile, seguito da Canada ed Unione europea. Per quanto concerne gli Stati Uniti, essendoci in vigore il dazio addizionale del 25%, complessivamente la maggiorazione riguarda il 62% rispetto al 12% di due anni fa. In attesa di un possibile accordo entro la fine di maggio, gli acquisti sono stati fatti obtorto collo anche se recentemente sono aumentati  proprio in virtù di tale agognata speranza.

 L’Italia, quindi, con una produzione non competitiva per il nostro mercato interno con comunque un tasso di decrescita del consumo, alla luce del recente accordo, siglato a marzo, per l’importazione in Cina di carni suine refrigerate o congelate, potrebbe avere una importante chance.

Ancorché il suddetto Protocollo di intesa includa la firma dell’Amministrazione Generale delle Dogane cinesi (GAC–General Aministration Custom), a causa di procedure fitosanitarie non ancora acclarate non mi risulta che lo stesso sia divenuto già operativo (almeno sino alla scorsa settimana).

Mi auguro che si possa in tempi rapidi dare attuazione completa al Protocollo. Nel frattempo la Spagna, anche in questo caso, fa la parte de leone, essendo il primo esportatore fra i paesi dell’Unione europea di carne di maiale in Cina ed il quarto per le frattaglie a seguito del Protocollo siglato nel novembre 2018 tra i rispettivi Capi di Stato.

Nei prossimi giorni si terrà a Milano un convegno sul Food safety dove sarà affrontato anche questa situazione emergenziale della Cina ed una settimana dopo, a Shanghai, avrà luogo la Meat Association Conference cui dovrei partecipare e di cui ne darò’ conto su eventuali novità o iniziative che verranno intraprese.

*general manager di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica, attiva in Cina da oltre 25 anni.


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