Turbolenze nei mercati emergenti, rallentamento dell'economia della Repubblica popolare cinese, guerre commerciali e Brexit sono i principali rischi che accompagnano quest'anno i mercati internazionali, sempre più importanti per le imprese italiane di ogni dimensione, specialmente quelle di una regione, come la Sicilia, in cui l'export è diventato uno dei traini principali della crescita.
Come possono, allora, le imprese siciliane fronteggiare la grande complessità del momento, senza rinunciare alle opportunità di crescita all'estero? Al grande quesito hanno provato a rispondere le aziende invitate a Catania, nella prestigiosa cornice di Palazzo Manganelli, all'evento «L'export della Sicilia tra vecchi e nuovi rischi», organizzato da Sace Simest, polo dell'export e dell'internazionalizzazione del Gruppo Cassa depositi e prestiti, per presentare la nuova «Mappa dei Rischi» 2019 elaborata da Sace.
Al centro dell'evento, il punto di vista di imprese e istituzioni, con Rosario Leonardi, già presidente di Confindustria Catania, Michele Greca, amministratore delegato di Ascot Industrial, Giampiero Alessi, direttore generale di Bionap, Giovanni Damigella, rappresentante legale della Mondial Granit, Giovanni Musso, ad di Irem, e Simonetta Acri, chief mid market officer di Sace.
In apertura dei lavori è intervenuto il presidente di Simest, Salvatore Rebecchini, mentre Alessandro Terzulli, capo economista di Sace, ha presentato la nuova Mappa dei Rischi 2019.
Nel 2018, l'export siciliano ha superato i 10 miliardi di euro, mettendo a segno un +15% rispetto all'anno precedente. La crescita è stata trainata da tre settori chiave, che da soli rappresentano il 75% del valore totale delle esportazioni della Sicilia: i raffinati, che, con un +15,3% rispetto al 2017, hanno raggiunto i 6,3 miliardi di euro; la chimica, che ha fatto registrare un +14,4% per un totale di 1,1 miliardi di euro; e alimentari e bevande, arrivati a circa 650 milioni di euro con un +10,9%. Sul podio per contributo all'export della Regione, le province di Siracusa (6,7 miliardi di euro), Catania (oltre 1,5 miliardi di euro) e Messina (oltre 1,1 miliardi di euro), che rappresentano l'87,2% del totale, mentre Palermo ha segnato la crescita più significativa con un +53,9%.
Nel 2018 i primi mercati di destinazione, complessivamente il 18,2% dell'export siciliano, sono stati la Turchia, dove le vendite sono aumentate del +47,3% rispetto al 2017, raggiungendo 689 milioni di euro, gli Stati Uniti, con 679 milioni di euro e una crescita del +36,7%, e la Spagna, 577 milioni di euro e una crescita del +21,5%.
«Lo scenario internazionale è sicuramente complesso, ma comunque pieno di opportunità per l'export italiano che non ha ancora realizzato il suo potenziale, soprattutto nei Paesi emergenti. Il nuovo Made in Italy può continuare a crescere», ha dichiarato Alessandro Decio, amministratore delegato di Sace, «la Sicilia, da sempre un crocevia strategico per il nostro Paese, continua a dar prova di grande dinamismo, fronteggiando le sfide del mercato internazionale e traducendole in ottime performance di crescita. Nel 2018, un anno complesso, l'export Siciliano è cresciuto del 15% e crediamo fortemente che ci sia il potenziale per fare ancora meglio e siamo qui come polo Sace Simest per confermare il nostro impegno nei confronti degli imprenditori siciliani. Siamo pronti ad ascoltare i bisogni delle imprese e a mettere in campo nuove iniziative in una strategia che vede al centro le pmi del territorio».
Per il 2019, i cinque settori principali dell'export siciliano (oltre a raffinati, chimica e alimentari e bevande, anche prodotti agricoli e apparecchi elettronici) potranno puntare a un'ulteriore diversificazione sul mercato globale, rivolgendosi ad aree geografiche anche al di fuori delle destinazioni tradizionali. Stati Uniti e Spagna rimangono le destinazioni più strategiche per i raffinati, ma buone opportunità, con un profilo di rischio più alto, verranno a breve dall'Algeria grazie al recente grosso investimento della Sonatrach, società petrolifera di Stato algerina, ad Augusta, con l'acquisizione della storica raffineria Esso, da Messico Indonesia e Turchia (chimica), da Giappone e Cina (food & beverage), da Brasile, dove i rischi sono più alti, da Germania e Arabia Saudita per i prodotti agricoli.