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Azienda Agricoltura

Progetto Italia, come migliorare ancora l'export in Cina

Occorre puntare di più sulla correlazione tra arredamento, cibo, vino passando anche per la moda, i settori in cui il made in Italy ha una grande forza di attrazione sui consumatori cinesi. Guardando anche ai residenti nelle città di seconda e terza fascia quelle che hanno più predisposizione a scoprire nuovi prodotti e a spendere per il loro acquisto


17/04/2019 00:27

di Marco Leporati* - Class Editori

cantina
La cantina Cardilla dell'azienda vinicola Carlo Pellegrino in Sicilia

Ulysse Etna Rosso di Carlo Pellegrino; Pinot Nero di Alois Lageder: scorrendo le liste vini di alcuni ristoranti a Shanghai, non solo italiani ma anche internazionali e trendy con un certo vezzo fusion, si può notare come la geografia del vino italiano stia cambiando: etichette nuove e prezzi moderatamente accettabili.

E’ un elemento di novità che suscita interesse in quanto, sino a pochi anni fa, tralasciando alcune cantine blasonate con prezzi praticamente inaccessibili se non per le nuove generazioni di ricchi cinesi, i pochi marchi presenti nelle liste vini erano di generica e talvolta scarsa qualità con un rapporto prezzo irragionevole per clienti comuni o con una certa cultura enologica.

Il Vinitaly di Verona, con la decisione di creare per il futuro un’iniziativa permanente – Wine to Asia - a Shenzhen, crocevia dello sviluppo della Greater Bay in Cina, potrà sicuramente favorire questo percorso. Contemporaneamente è stato inaugurato a Milano il Salone del Mobile nell’ambito della Design Week e a Parma una nuova edizione di Cibusconnect.

L'Italia ha condensato in pochi giorni le eccellenze italiane quali il vino, l’agroalimentare ed il design. Tanto è stato già scritto e descritto sulle pagine dei quotidiani. Vorrei semplicemente tentare una breve riflessione su questa apoteosi italiana.

La coincidenza va ad intersecarsi e ad aggiungersi al Memorandum sottoscritto circa un mese fa dal nostro Governo durante la visita del Presidente cinese Xi Jinping, alla recente luna di miele tra Unione Europea e Cina con il parziale successo dei recenti incontri bilaterali a Brussels e non da ultimo al decreto del ministro dell’Agricoltura, approvato dalla Conferenza Stato Regioni, relativo alle promozioni di vino fuori dal territorio italiano con una dote di cento milioni di Euro di cui una parte da spendersi in Cina.

Mi chiedo, giunti a questa miriade di opportunità cosa ci manca per modificare in positivo i numeri del nostro export verso la Cina rispetto ad altri Paesi concorrenti? Sul fronte cinese apprendo che, se in città come Shanghai, in termini assoluti, i consumatori potrebbero avere maggiore disponibilità alla spesa, sono in realtà le città di seconda e terza fascia quelle che hanno più predisposizione a scoprire nuovi prodotti e a spendere per il loro acquisto.

In questa direzione la riduzione delle aliquote dell'Iva dovrebbe contribuire,come sta accadendo nel settore della moda- secondo i dati più recenti – ad incentivare maggiormente i livelli di spesa (per problemi di spazio non entro nella differenziazione dei consumatori in dipendenza dell’età anagrafica).

Tornando all’argomento vino, certamente Cile, Australia e Nuova Zelanda hanno accordi che disciplinano la riduzione o addirittura l’esenzione dei dazi di importazione,(vedi il Trans Pacific Partnership agreement del 2015) favorendone la vendita a prezzi inferiori ma, dal mio punto di vista la questione riveste prima di tutto una valenza culturale e l’interrogativo che mi pongo da molti anni è quello di come e cosa fare per trasferire in Cina la nostra” complessità culturale”, segno vitale di un’Italia con antiche tradizioni e proprie specificità

Sembra che l’apparenza e l’evidenza del fenomeno culturale sia ad un primo impatto semplice ma in realtà e’ molto complessa da disvelarsi completamente. Il successo dei vini del Nuovo Mondo, come vengono definiti quelli di provenienza non europea, deriva dalla combinazione vitigno-marchio con la prevalenza della tecnologia sul terroir ed è dovuto semplicemente al fatto che per i consumatori di una nazione di lunga tradizione vitivinicola (le prime viti risalgono a duemila anni fa) ma che si è affacciata alla modernità dell’utilizzo di questo prodotto solo da una trentina di anni , la varietà è afferente e limitata principalmente a Cabernet Sauvignon, Shiraz, Merlot e Chardonnay per una facilità di gusto e di adattabilità al palato.

La Francia del Vecchio Mondo per ragioni di marketing e di canali distributivi ha creato un vantaggio competitivo non da ora ma risulterebbe tedioso entrare ancora una volta in un’analisi approfondita del proprio successo. L‘ Italia ( sempre del Vecchio Mondo) produce 526 varietà di vini (seguendo la clasificazione DOCG, DOC e IGT) con diversa territorialità di appartenenza e con il numero piu’ elevato al mondo di vitigni autoctoni ( 80).

Matt Goulding in un suo libro dal titolo Pasta, Pane, Vino, pubblicato lo scorso anno in Australia e che ha ottenuto un buon successo di pubblico, offre una visione americana della cucina italiana con una lunga intervista allo scomparso Anthony Bourdain il quale, tra le varie affermazioni e considerazioni sostiene che essa sia ”accessibile, confortevole apparentemente semplice ma sconfinatamente deliziosa; non ti deluderà mai perché dà l’illusione che non cambierà mai”…Il cibo italiano è molto, molto più emozionale”.

Ho scelto volutamente una testimonianza straniera perché ci da l’idea del nostro potenziale e di quanto lavoro ci sia ancora da fare per colmare queste distanze. La ricetta deve essere proprio quella di aggiungere e non di sottrarre e cioè di migliorare il processo di integrazione delle diverse aree (dall’arredamento al cibo e al vino passando anche per la moda) in una visione trasversale dove le diverse componenti del nostro prisma culturale abbiano un solo obiettivo comune: non solo Sistema ma progetto.

Una ventina di anni fa Ettore Sottsass, nella sua rubrica settimanale di Domus cosi scriveva:”Ho letto che a Milano un ristorante ha preso come suo motto una frase di Oscar Wilde e la cito” Non riesco a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo”. Potrebbe anche essere il mio motto”. (Foto dal finestrino, pag 39).

Negli anni del Boom italiano la stretta correlazione tra design, arte,cibo e vino ha rappresentato un punto di forza e di successo. Scrittori che dissertavano di vino e di cibo come Soldati, Vergani e Buzzati hanno costituito l’Accademia della Cucina Italiana. Sottsass, Brera, Gio’ Ponti, Gadda, per citarne alcuni, erano in simbiosi con l’arte del vivere nelle loro frequenti incursioni.

Penso che, con le presenti condizioni favorevoli per l’Italia sia indispensabile,in termini assoluti, trasferire la nostra storia, il nostro prodotto e la nostra civiltà  in Cina utilizzando questo vecchi ma ancor valido modello: se non cogliamo l’attimo anche le città di seconda o terza fascia diverranno preda di altri Paesi rinomati per la loro semplicità nell’approccio al Life style.

* general manager di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica, attiva in Cina da oltre 25 anni


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