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I titoli Country Garden rimossi dalla borsa di Hong Kong

A partire dal 4 settembre i titoli dello sviluppatore immobiliare cinese e della controllata Country Garden Services Holdings saranno sostituiti dalla farmaceutica Sinopharm e da Trip.com. Le due immobiliari sono tecnicamente in default


21/08/2023 12:11

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale

A partire dal 4 settembre il titolo dello sviluppatore immobiliare cinese Country Garden sarà rimosso dall'indice Hang Seng della Borsa di Hong Kong e sostituito dalla farmaceutica Sinopharm.

La decisione fa seguito all'ultima revisione trimestrale dell'operatore della Borsa asiatica e riguarda anche la controllata Country Garden Services Holdings, che si occupa di servizi di gestione immobiliare, che sarà rimossa dall'indice Hang Seng China Enterprises a favore di Trip.com. L'indice Hang Seng China Enterprises riflette la performance complessiva dei titoli della Cina continentale quotati a Hong Kong.

L'addio forzato al listino è l'ennesimo colpo inferto al settore immobiliare cinese, appesantito da anni da una crisi senza precedenti. Nelle ultime settimane, Country Garden ha sospeso il trading di 11 bond quotati onshore e ha emesso un profit warning, secondo cui prevede di registrare una perdita netta record compresa tra 45 e 55 miliardi di yuan (pari a circa 624-7,63 miliardi di dollari) nei sei mesi conclusi a giugno, a fronte dell'utile di 1,91 miliardi di yuan riportato lo scorso anno.

Il suo titolo ha perso oltre il 70% da inizio anno, scendendo sui minimi nelle ultime settimane, e l'azienda ha meno di 30 giorni a disposizione per effettuare il pagamento delle cedole su due bond in dollari rinviato il 7 agosto scorso, del valore complessivo di 22,5 milioni di dollari.

La scorsa settimana l'altro colosso del real estate cinese, China Evergrande, ha presentato un'istanza al tribunale di New York per chiedere la protezione dai creditori per gli asset negli Stati Uniti, mentre porta avanti il più grande piano di ristrutturazione del debito della storia della Cina (attualmente, le passività ammontano a oltre 340 miliardi di dollari).

Il caso Evergrande, che si trascina dal 2021, e ora la vicenda di Country Garden hanno acceso nuovamente i timori che la crisi del settore immobiliare - storicamente uno dei principali driver di crescita dell'economia cinese - possa estendersi ad altri settori e trascinare giù il Paese, in un momento in cui la crescita risulta vacillante e la ripresa post-Covid non è andata come auspicato.

Tuttavia, secondo un'analisi di Carlo De Luca, Responsabile Asset Management Gamma Capital Markets, "non bisogna farsi ingannare ritenendo che la crisi immobiliare di Evergrande possa contagiare il resto del mondo come fecero nel 2008 i mutui subprime. Analizzando con lucidità e freddezza le due realtà, possiamo notare come, sebbene anche la crisi del 2008 fosse originata dal settore immobiliare, la magnitudo che diventò in un colpo solo sistemica e devastante fu imputabile in realtà alle distorsioni create dal sistema finanziario, in quanto furono gli strumenti utilizzati per collocare il debito immobiliare (ovvero cartolarizzazione dei mutui ad alto rischio e i CDO a leva) a far vacillare il sistema bancario".

Pertanto, ha concluso De Luca, "nonostante sia indubbio che il Real Estate cinese pesi per il 20-25% del Pil, non è stato cartolarizzato e venduto a leva in tutto il mondo, con la conseguenza che l'effetto sull'economia non potrà essere il medesimo. Certo, non sarà una passeggiata di salute, ma a questi livelli i mercati cinesi sono già fortemente a sconto e in parte stanno già prezzando questa crisi da un anno a questa parte".

Sulle recenti turbolenze di Country Garden e China Evergrande hanno concentrato l'attenzione anche gli analisti di Payden & Rygel. "Il Dragone si trova infatti ad affrontare il protrarsi di una riallocazione delle risorse, che si ripercuoterà sulla domanda globale", hanno scritto.

In Cina, spiegano gli economisti, la quota di investimenti immobiliari ha raggiunto l'8% del Pil nel 2013 e da allora si aggira intorno a questa cifra, mentre negli Stati Uniti gli investimenti residenziali hanno raggiunto il 6,7% del Pil nel 2006, prima di crollare al 2,4% nel 2010.

"Analizzando i dati recenti emerge come l'impatto della riduzione dei prezzi dei beni importati dalla Cina sull'inflazione sottostante negli Usa sia stato minimo", precisano gli economisti, "in primo luogo perché le importazioni di beni rappresentano una piccola fetta della spesa complessiva dei consumatori statunitensi (16,6%) e le importazioni cinesi rappresentano una parte ancora più piccola della spesa (2,2%) e in secondo luogo, perché fattori interni come l'inflazione del settore terziario, dove la rigidità del mercato del lavoro ha determinato un aumento dei costi dei fattori di produzione, spesso annullano le pressioni esterne sui prezzi". (riproduzione riservata)


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