Le azioni del gigante dell'e-commerce Alibaba Group Holding sono in rialzo in scia alle indiscrezioni di stampa in base alle quali la Cina avrebbe deciso di concedere ad Ant Group di creare una holding finanziaria, riportando in auge il suo piano di quotazione, bloccato nel novembre del 2020 dall'intervento della Banca centrale.
Alibaba è in rialzo dell'1% circa a 102,41 dollari, ma è arrivata a guadagnare anche l'11,1%. Il titolo è salito dell'8,1% nell'ultimo mese, ma è ancora in calo del 12,6% quest'anno. Ant è il braccio finanziario di Alibaba.
Secondo Reuters che cita fonti a conoscenza dei fatti la People's Bank of China ha accettato la richiesta di Ant di costituire una holding finanziaria, mossa che suggerisce un allentamento delle pressioni normative che hanno costretto Ant a ristrutturarsi e a rinunciare all'Ipo che aveva programmato nel novembre del 2020.
Ant, con sede a Hangzhou, in Cina, gestisce il popolare servizio di pagamento digitale Alipay. L'indagine di Morning Consult sui marchi più affidabili al mondo, pubblicata all'inizio di questa settimana, ha evidenziato che Alipay è il marchio più affidabile in Cina. Ad aprile, il 53% dei consumatori cinesi ha dichiarato di utilizzare l'applicazione quotidianamente e il sito web di Ant afferma che il servizio ha circa 1,3 miliardi di utenti.
Alipay, lanciata nel 2009, è la principale opzione di pagamento mobile dei consumatori, insieme alla concorrente WeChat Pay, di proprietà di Tencent Holdings. Ant è stata una delle prime aziende colpite dal giro di vite del governo cinese sulle grandi aziende tecnologiche nell'autunno del 2020. Nelle ultime settimane, però, gli investitori hanno reagito positivamente ai segnali di allentamento delle normative e della stretta vigilanza.
Per una multinazionale che sorride, ce ne è un'altra che soffre. La VW non solo registra uno dei peggiori dati di vendita delle sue auto in Cina con un -24% in maggio, ma deve anche subire l'iniziativa dei sindacati tedeschi Ig Metall che per bocca del suo capo ha invitato la società a riconsiderare la chiusura dello stabilimento nello Xinjiang, fulcro delle critiche per la forte dipendenza dell'azienda dalla Cina come mercato e base produttiva.
«Non c'è alcun dubbio che nello Xinjiang si stiano verificando violazioni dei diritti umani», ha dichiarato Jorg Hofmann, capo del sindacato IG Metall e membro del consiglio di vigilanza della Volkswagen, in un'intervista pubblicata dal quotidiano Braunschweiger Zeitung.
Dal 2013 Volkswagen gestisce uno stabilimento di assemblaggio vicino alla città di Urumqi, nello Xinjiang, come partner junior in una joint venture con la cinese Saic Motor Co. La decisione di entrare nella regione ha fatto seguito agli incentivi del governo cinese nell'ambito di una politica volta a portare più posti di lavoro nel settore manifatturiero nella regione sottosviluppata.
Le critiche per la presenza di Volkswagen in Cina, dove l'azienda realizza circa il 40% delle sue vendite, si sono moltiplicate man mano che il governo del presidente Xi Jinping ha stretto la presa sulla società cinese e ha adottato una posizione più aggressiva in politica estera. La pressione sull'azienda, inoltre, si inserisce anche in un momento in cui la compagnia sta lottando per mantenere la produzione e le vendite tra le interruzioni della catena di fornitura, la carenza di semiconduttori e la guerra in Ucraina.
Nei primi cinque mesi dell'anno, le vendite di Volkswagen sono calate del 26% rispetto all'anno precedente, raggiungendo i 3,07 milioni di veicoli in tutto il mondo, ha dichiarato oggi la società. In Cina, le vendite della società sono scese del 29% a 1,13 milioni di veicoli. (riproduzione riservata)