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Il Giappone supera la Cina come detentore di T Bond americani

A giugno, nonostante la quota di bond del Tesoro Usa in mano cinese abbia ripreso quota dopo tre mesi di vendite, Pechino è stata scavalcata. Non accadeva da maggio 2017. Complessivamente la Repubblica popolare detiene 1.112 miliardi di dollari in T-bond, in un aumento di 2,3 miliardi sul maggio, quando aveva toccato i minimi da due anni. Di contro il Giappone è salito a quasi 1.113 miliardi.


16/08/2019 11:16

di Mauro Romano - Class Editori

Il Giappone super la Cina sui T-Bond

Il Giappone ha scalzato dal Cina dalla vetta della classifica dei maggiori detentori di debito statunitense. A giugno, nonostante  la quota di bond del Tesoro Usa in mano cinese abbia ripreso quota dopo tre mesi di vendite, Pechino è stata scavalcata. Non accadeva da maggio 2017. La Repubblica popolare detiene 1.112 miliardi di dollari in T-bond, in un aumento di 2,3 miliardi sul maggio, quando aveva toccato i minimi da due anni. Di contro il Giappone è salito a quasi 1.113 miliardi.  A giugno è salito a 203 miliardi di dollari anche l’ammontare dei titoli sovrani statunitensi detenuti dal Belgio, Paese solitamente utilizzato dai cinesi come proxy.

L’esposizione della Repubblica popolare propriamente detta è ai minimi da due anni, sebbene i cinesi rimangano i principali creditori di Washington davanti al Giappone.

Sullo sfondo c’è lo scontro commerciale con gli Stati Uniti. I colloqui sono in una fase di stallo. All’interno della dirigenza cinese non mancano le voci che spingono per utilizzare l’arma del debito statunitense in mano cinese come leva per strappare concessioni all’amministrazione di Donald Trump sul fronte dei dazi. Secondo la maggior parte degli analisti Pechino non intende provocare un sell-off. Prima di tutto perché non avrebbe a disposizione asset altrettanto sicuri, anche se negli ultimi tempi ha incrementato le proprie riserve auree. Inoltre non sarebbe nell’interesse cinese stressare Washington sul piano finanziario.

I dati diffusi dall’amministrazione statunitense nelle ultime settimane mostrano anche coma la Cina non sia più il principale partner commerciale per Washington, scivolata in terza posizione nel primo semestre del 2019, dietro Messico e Canada

La Cina intanto ha spiegato  di voler reagire contro l'imposizione delle tariffe statunitensi sui beni cinesi, nonostante il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, abbia deciso di rinviare l'attuazione dei dazi esprimendo la speranza che i due Paesi possano giungere al più presto a una soluzione per porre fine al conflitto commerciale.

La Commissione per la Tariffe Doganali del Consiglio di Stato ha affermato che la proposta statunitense, del primo agosto, di voler imporre nuove tariffe su 300 miliardi di dollari di beni cinesi, "ha violato gravemente" un consenso raggiunto fra Trump e il presidente della Cina, Xi Jinping, durante gli incontri che si sono tenuti in Argentina e in Giappone, lo scorso anno.

 La minaccia delle nuove tariffe da parte degli Stati Uniti "ha portato i due Paesi ad allontanarsi dalla possibilità di risolvere le controversie attraverso il dialogo", ha affermato un funzionario della Commissione aggiungendo che "la Cina non avrà scelta se non quella di adottare delle contromisure".


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