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In Cina aumentano i default. Ed è una buona notizia

La possibilità che un emittente pubblico o privato fallisca indica che il mercato finanziario della Repubblica popolare si sta davvero aprendo alle regole dei mercati internazionali. Secondo Eurizon (Intesa Sanpaolo) i bond cinesi rappresentano, tuttavia, una necessaria e interessante diversificazione di portafoglio


27/12/2019 10:52

di Roberta Castellarin - Class Editori

Aumentano i default

Nel 2019 si è toccato un record di default per il mercato obbligazionario. A dirlo sono i numeri riportati da Bloomberg, che ha calcolato che quest'anno i bond cinesi in default sono arrivati a 130,7 miliardi contro i 121,9 del 2018. Numeri che colpiscono se confrontati con quelli del 2017, quando i titoli insolventi ammontavano soltanto a 26,6 miliardi. Secondo gli analisti, però, questa rapida crescita dei default non è una cattiva notizia perchè indica come la Cina stia davvero aprendosi alle regole dei mercati. 

L'assenza di default registrata in passato non era infatti dovuto a una superiorità, in termini di qualità o solidità, delle società cinesi, ma al fatto che il sistema finanziario era strettamente controllato, le società erano spesso legate al governo e le obbligazioni venivano in gran parte acquistate da istituti di credito statali. Le autorità sono intervenute spesso per garantire che le imprese economicamente in difficoltà non arrivassero al default, per la preoccupazione per i disordini sociali in caso di perdita di posti di lavoro o mancato pagamento degli stipendi.

Questo sistema aveva come controndicazione il fatto che non c'era un incentivo alla disciplina di chi chiedeva credito. Secondo gli esperti ora che a investire in Cina sono sempre più anche gli investitori internazionali è importante che si crei una cultura del merito di credito e anche il rischio default fa parte di queste nuove regole del gioco. Quanto accaduto nel 2019 rappresenta, però, anche un utile messaggio a chi investe nel mercato, perché bisogna abbandonare l'idea che i bond cinesi siano porti sicuri che non rischiano insolvenze grazie allo scudo dello Stato, sempre pronto a intervenire. 

Bloomberg cita il caso della società di materie prime Tewoo Group Corp. che ha rappresentato il più grande default in obbligazioni in dollari in due decenni di un'impresa statale. Quell'evento "potrebbe rivelarsi una svolta", ha affermato Todd Schubert, amministratore delegato per il reddito fisso presso la Bank of Singapore in un'intervista a Bloomberg.

Sta diventando sempre più pericoloso contare sul fatto che alcune aziende siano, in sostanza, troppo connesse per fallire. Dopo la notizia del piano di ristrutturazione del debito di Tewoo, Moody's Investors Service ha avvertito gli investitori che le imprese statali che non sono "strategicamente importanti" per il governo hanno meno probabilità di essere salvate. Tuttavia capire quali aziende si qualificano ancora come strategiche non sarà facile. 
 
I bond cinesi rappresentano, d'altra parte, una diversificazione di portafoglio interessante in una fase di tassi bassi. «I bond cinesi sono un asset rifugio al pari dell'oro e dei treasuries americani perché quello cinese è il secondo maggiore mercato del mondo ed è detenuto per il 98% da investitori domestici», ha spiegato Li Jen, ceo di Eurizon SLJ Capital controllata dell’asset manager del gruppo Intesa Sanpaolo che gestisce il più grande fondo Ucits del mondo investito in obbligazioni cinesi in renminbi . Nonostante Pechino abbia aperto il mercato agli stranieri due annifa, i fondi esteri hanno attualmente appena il 2% del mercato complessivo e l’8% di quello governativo, rispetto al 12% in Giappone e al 33% negli Stati Uniti.

«Solo Europa e Brasile hanno migliori Sharpe ratio», ha aggiunto Li Jen, riferendosi all’indicatore della performance corretta per il rischio. Il portafoglio del fondo si concentra su governativi più liquidi ed emissioni di società statali o parastatali con almeno rating tripla A.

I titoli cinesi in valuta locale, secondo il gestore, consentono una diversificazione necessaria per l'investitore europeo, perché la dipendenza del Vecchio Continente dalla Cina è cresciuta esponenzialmente negli ultimi decenni. "La Ue oggi è sensibile alle variazioni del Pil cinese più del doppio rispetto a quanto lo sono gli Stati Uniti e il resto del mondo", ha spiegato Li Jen.

Un investimento in renminbi sarà più attraente per un europeo che per un americano soprattutto se la guerra dei dazi fra Pechino e Washington dovesse proseguire. «Trump ha minacciato sanzioni finanziarie che potrebbero includere il divieto ai fondi Usa di investire in Cina», ha detto Li Jen. Secondo il gestore la presenza di investitori esteri sul mercato obbligazionario cinese è destinata ad aumentare, fino al 15% nel medio periodo, che significa  circa 2 mila miliardi di dollari di nuovi investimenti. (riproduzione riservata)


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