La pandemia di coronavirus ha finora contribuito ad affossare gli investimenti cinesi in Europa. Nel primo trimestre del 2020 il flusso potrebbe toccare i minimi da dieci anni. Previsioni in linea con il calo registrato nel 2019. Secondo i dati raccolti nell'ultimo rapporto congiunto dell'istituto tedesco Merics e del Rhodium Group, l'ammontare degli investimenti diretti del Dragone nei 28 Paesi Ue è calato nell'ultimo anno di un terzo, a 12 miliardi di euro, proseguendo nella traiettoria discendente iniziata già tre anni fa, dopo il biennio di grande shopping nel Vecchio Continente portato avanti dalla imprese cinesi tra il 2015 e il 2016.
Come tutte le crisi, anche quella innescata dal dilagare del Covid-19 può portare con sé opportunità per il Dragone. È già successo nel 2008-2009, quando i cinesi rivolsero lo sguardo sulle materie prime e successivamente nel 2012-2013, con acquisizioni strategiche in giro per l'Europa. Questa volta però, ammoniscono gli autori Agatha Kratz, Mikko Huotari, Thilo Hanemann e Rebecca Arcesati, non necessariamente gli investitori di Pechino faranno la parte del cavaliere bianco. La seconda economia al mondo rallenta: anche oltre Muraglia le aziende devono fare i conti con la liquidità e lo stesso governo cinese non ha intenzione di allentare ulteriormente il controllo sui capitali messo in piedi negli ultimi anni per riportare la situazione finanziaria in un quadro di stabilità. Un ostacolo ulteriore è il sistema di screening degli investimenti, che un po' in tutta Europa gli Stati hanno rafforzato per tutelare settori strategici da acquisizioni estere ed evitare un depauperamento del proprio sistema industriale.
Nell'ultimo anno è anche cambiata la mappa della presenza cinese nel Continente. Lo sguardo degli investitori cinesi si è rivolto a Nord, verso i Paesi scandinavi. La Finlandia è stata il primo destinatario di risorse dalla Repubblica popolare, primato cui ha contribuito l'acquisizione per 4,6 miliardi di Amer, società specializzata in attrezzature sportive, da parte del gruppo Anta, mentre ammonta a 830 milioni l'investimento di Evergrande nella casa automobilistica svedese Nevs, nell'ambito della strategia del gruppo immobiliare di imporsi nel mercato dell'auto elettrica.
Di contro scende dal 45% al 34% la quota di investimenti destinata a Gran Bretagna, Francia e Germania, finora in cima alle preferenze del Dragone (erano al 71% nel 2017). Il Regno Unito è comunque il secondo destinatario di investimenti cinesi, davanti alla Svezia, forte anche dell'ulteriore quota acquisita da Jiangs Shagang in Global Switch, colosso dei data center in Europa e Asia. Un'operazione da 2 miliardi di euro che evidenzia come, nonostante le cautele e la richiesta Usa di maggior controllo sulla presenza cinese nel settore della tecnologia, le operazioni di M&A in questo campo non si sono fermate. A dimostrarlo ci sono anche l'acquisizione dell'olandese NXP Semiconductor fatta da Shenzhen Goodix e della start up tedesca Data Artisans fatta da Alibaba. E l'analisi non dimentica come una delle forme di collaborazione riguarda progetti congiunti di ricerca e sviluppo, che danno alla Cina accesso anche ad asset sensibili.
Tra i principali accordi del 2019, Rhodium e Merics includono anche il passagio di Candy al colosso dell'elettronica di consumo Heier per 475 milioni. Beni di consumo e servizi rappresentano infatti i comparti più gettonati, anche perché per loro natura meno soggetti a essere politicizzati. Ma d'altro canto il 2019, ha anche registrato un calo degli investimenti diretti fatti dalle grandi aziende di Stato. Appena l'11% del totale aggregato, la percentuale più bassa dal 2000. (riproduzione riservata)