Tra l'andamento negativo del mercato e l'ondata riformista di Xi Jinping non è una settimana facile per l'industria della moda. Basta guardare i numeri di Piazza Affari, dove da venerdì Salvatore Ferragamo ha perso l'11%, seguito a ruota da Moncler (-9,7%), Tod's (-9,2%) e Brunello Cucinelli (-7,4%). Con il listino milanese che stamattina perde l'1,90%, oggi quasi tutte le quotate del made-in-Italy scendono più del 4% (Moncler a -4,65%, Salvatore Ferragamo a -4,77%, Tod's a -2,91% e Brunello Cucinelli a -4,30%). E la situazione non è migliore oltralpe. Anzi, da venerdì Hermes ha perso quasi il 7%, Lvmh il 12% e Kering addirittura il 16%. A Londra, Burberry ha lasciato sul terreno il 12,3% in quattro giorni di contrattazioni.
Di certo, parte del crollo può essere spiegata guardando le performance del mercato: dopo giorni di debolezza, oggi le borse risentono delle minute della Fed, ormai pronta al tapering. E il settore del lusso, ciclico di natura e quindi maggiormente esposto ai rischi di mercato, ne ha immediatamente risentito. Eppure, ha spiegato Ubs, la settimana nera dei giganti del fashion non è solo legata ai listini, ma anche ai rischi che arrivano dalla Cina. Innanzitutto, la recrudescenza del virus a opera della variante Delta ha impattato sulla produzione industriale cinese di luglio (+6,4%), che ha deluso le attese del consenso (+7,8%).
Come se non bastasse, ieri da Pechino è arrivata un'ulteriore stangata. Dalle dichiarazioni del presidente, Xi Jinping, infatti, sembra chiaro che il Partito Comunista si prepara a "regolare i redditi eccessivamente elevati", di fatto aprendo alla possibilità di riformare le tasse per controllare il conto in banca dei cittadini più ricchi. "I propositi politici del governo ricordano agli investitori la campagna anticorruzione del 2012, che ha avuto un impatto molto negativo sui consumi dei cittadini cinesi e, di conseguenza, su tutto il settore del lusso", ha spiegato Ubs.
Certo, la situazione adesso è diversa da quella del 2012, quando la ripresa del settore del lusso dipendeva principalmente dalla Cina. Adesso, invece, le società europee sono esposte anche ad altri mercati, quindi anche i rischi sono diluiti. Eppure, dati alla mano, il Paese del Dragone conta ancora oltre un quarto del fatturato dell'industria della moda europea. Nel 2019 il 35% delle vendite era legato ai consumatori cinesi, mentre nel 2020 la quota è scesa al 28% a causa del Covid.
È evidente, quindi, che le mosse del Partito Comunista rappresentano una fonte di rischio per il made-in-Europe. Basti pensare che nel 2014, durante la Rivoluzione degli Ombrelli di Hong Kong contro la riforma elettorale, il rapporto tra il multiplo p/e dell'industria del fashion e quello dell'indice Msci Europe ha perso circa 16 punti percentuali. Durante la guerra commerciale con gli Stati Uniti del 2018, poi, è sceso di addirittura 31 punti. E negli scorsi mesi, il settore del lusso ha sottoperformato il mercato di circa il 10%.
Tra i titoli più esposti al fattore Asia c'è Swatch Group (titolo coperto con un rating neutral da Ubs), il produttore di orologi elvetico che deve circa il 50% delle vendite alla domanda cinese. L'azione della società, che stamattina scende del 4,69% a 260 franchi svizzeri, da venerdì ha perso più del 10%. Gli investitori con posizioni lunghe faranno bene a prestare attenzione anche a Burberry (sell) e Richemont (buy) che, secondo i calcoli di Ubs, hanno un'esposizione del 40% alla Cina. In Italia, le più a rischio sono Moncler (rating neutral) e Tod's (neutral), la cui dipendenza dal mercato del Dragone è pari, rispettivamente, al 33% e al 30%. (riproduzione riservata)