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Le borse cinesi a 10 triliardi di dollari, oltre i massimi del 2015

Pechino pare aver superato la pandemia e l’indice Csi 300 è salito del 14% nel 2020. Per gli analisti può crescere ancora, perché l’indice Csi 300 tratta a un multiplo di circa 19 volte gli utili realizzati negli ultimi 12 mesi. La capitalizzazione di Shanghai e Shenzhen ha toccato il massimo storico, aggiornando i livelli raggiunti nel 2015


16/10/2020 12:55

di Francesco Bertolino - Class Editori

Borsa

Mentre l’Europa è nel pieno della seconda ondata pandemica e negli Stati Uniti non è mai terminata la prima, la Cina sembra ormai uscita dalla crisi sanitaria ed economica. O almeno così sembrano pensarla gli investitori. Martedì, stando a dati Bloomberg, la capitalizzazione complessiva delle quotate a Shanghai e Shenzhen ha oltrepassato i 10 triliardi di dollari, aggiornando il massimo storico del 2015, poco prima dello scoppio della bolla cinese. Il valore resta lontano dai quasi 30 mila miliardi di Wall Street, ma è comunque rimarchevole, considerato come era iniziato l’anno del Topo fra proteste di Hong Kong e coronavirus.

Le ragioni dietro l’avanzata che ha portato l’indice Csi 300 a un rialzo del 14% da inizio anno sono però più solide di allora. Anzitutto, la Cina, epicentro della pandemia, ha superato l’emergenza sanitaria prima degli altri Paesi ed è finora riuscita a scongiurare l’ondata di risacca ricorrendo a metodi a dir poco draconiani. Ciò ha consentito a Pechino di riavviare a pieno regime le attività produttive e di consumo: secondo le più recenti stime del Fondo Monetario Internazionale, la Cina sarà l’unica grande economia mondiale a crescere nel 2020 con un pil atteso in rialzo tendenziale dell’1,9%.

Prova ne sono i dati sulle importazioni ed esportazioni dal Paese che in settembre hanno toccato livelli record. Non a caso, ieri il presidente cinese Xi Jinping ha ribadito in un lungo discorso che il Paese rimane intenzionato a fare affari con il resto del mondo. Ha aggiunto che Pechino si impegna a migliorare l’ambiente imprenditoriale e ad aprirsi ulteriormente alle imprese straniere.

Nonostante la crescita del mercato domestico, la globalizzazione resta infatti il più potente motore della prosperità cinese che il conflitto commerciale con Trump e la crisi pandemica hanno rischiato di ingolfare. Non a caso, un altro motivo che giustifica l’ottimismo mostrato dagli analisti nei confronti delle borse di Shanghai e Shenzhen risiede nell’aspettativa sempre più concreta che il democratico Joe Biden possa spuntarla alle presidenziali americane, il che dovrebbe portare a una distensione dei rapporti tra Washington e Pechino.

Altri analisti ritengono invece che la guerra tecno-commerciale fra Cina e Stati Uniti sia condivisa nel merito, se non nei metodi, anche dai dem. In ogni caso, in confronto alla certezza di Trump, Biden lascia almeno la speranza di una tregua fra le due superpotenze, fattore a cui si stanno aggrappando molti investitori.

Infine, l’indice Csi 300 tratta a un multiplo di circa 19 volte gli utili realizzati dalle quotate negli ultimi 12 mesi, livello che rimane lontano dal multiplo di 40x toccato all’apice della bolla del 2015. Le borse di Pechino e Shanghai avrebbero quindi ancora molto spazio per crescere, aumentando il vantaggio sullo S&P 500 cresciuto «solo» del 9% da inizio 2020 per non parlare del divario con i listini europei, quasi tutti ancora sotto i livelli di febbraio.

A questo proposito, ieri le borse del Vecchio Continente sono state poco brillanti, divise tra impennata dei contagi e aspettative di poter ottenere un vaccino entro fine anno. A Piazza Affari l’indice Ftse Mib ha chiuso con un modesto rialzo dello 0,3%, Francoforte invariata, mentre Parigi e Londra, nei Paesi dove la situazione sanitaria è più critica, hanno perso rispettivamente dello 0,1 e dell0 0,6%, (riproduzione riservata)


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