Silk Road Fund, il fondo d'investimento cinese, creato nel 2014 per investire nei progetti infrastrutturali legati alla Belt&Road, starebbe valutando l'ipotesi di uscire dall'azionariato di Autostrade per l'Italia, secondo informazioni raccolte da Milano Finanza.
Autostrade, controllata dal gruppo Atlantia è ai primi posti in Europa tra i concessionari di costruzione e gestione di autostrade a pedaggio con circa 3.000 km di rete gestita in Italia.
Silk Road è attualmente azionista di minoranza di Autostrade con una quota del 5% acquistata nel 2017 pagando 14,8 euro per azione, che ora tratta in borsa a 15,9 euro, con un investimento totale di 40 miliardi di euro.
«Apprezziamo molto e siamo soddisfatti del top management della società nella quale abbiamo partecipazioni. Il capitale asiatico si sta muovendo in tutto il mondo e Roma non deve farsi sfuggire questa opportunità. Speriamo che i nostri futuri investimenti nella Penisola e la cooperazione con partner italiani su altri mercati si possano sviluppare al meglio. Stiamo collaborando anche con Cdp, Snam e Atlantia per cercare nuovi sbocchi in Paesi terzi. Speriamo in risultati “win win”», aveva dichiarato mesi fa Wang Yanzhi, presidente ed executive director del fondo cinese.
Ma nelle ultime settimane è cambiato il clima intorno ad Aspi, il cui controllo passerà nei prossimi mesi dal gruppo Atlantia (Benetton) a Cdp, controllata dalla Tesoro, come indica la firma dell'atto transattivo con il governo che mette fine di fatto all'ipotesi di revoca della concessione.
La scelta però mal si concilierebbe con la minusvalenza che i soci dovrebbero registrare, tanto che qualcuno scommette che invece gli azionisti di minoranza prima o poi lavoreranno per incrementare la quota.
In parallelo, procede la trattativa con Atlantia per i risarcimenti dovuti in seguito al crollo del ponte Morandi a Genova. La holding guidata da Carlo Bertazzo in maggio aveva ricevuto una notizia di contestazione da Appia Investments e da Silk Road.
I due soci hanno contestato genericamente «violazioni di dichiarazioni o garanzie» e hanno evidenziato altresì «di non essere allo stato in grado di quantificare le rispettive pretese risarcitorie, rispetto alle quali i contratti prevedono in assenza di dolo o colpa grave un limite del 15% del prezzo pagato». In sostanza, l'oggetto del contendere riguarda eventuali risarcimenti che dovrebbero spettare agli azionisti.
Lo scorso maggio Appia Investments e Silk Road non avevano quantificato il petitum, ma avevano scritto ad Atlantia per garantirsi il diritto a trattare. Secondo quanto previsto contrattualmente, una prima fase prevede di cercare un componimento amichevole (fase tuttora in corso) mentre successivamente i due azionisti potrebbero avviare una procedura arbitrale.
I contratti prevedono che in assenza di dolo o colpa grave il risarcimento non possa superare il 15% del prezzo pagato, ossia una cifra poco superiore a 250 milioni.
Ieri intanto Atlantia è stata inserita anche nel Mib Esg Index, il primo indice blu-chip per l'Italia che include i più importanti emittenti quotati che dimostrano di mettere concretamente in campo comportamenti virtuosi in materia Esg. Di recente, Atlantia è stata confermata nel Ftse4Good Index Series, altro paniere che classifica le migliori imprese al mondo in termini di pratiche e trasparenza in materia ambientale, sociale e di governance, e ha registrato significativi avanzamenti nei rating Esg emessi da primarie agenzie internazionali come Msci, Vigeo-Eiris (parte di Moody's Esg Solutions) e Gresb, indice specializzato nella valutazione del settore infrastrutture. (riproduzione riservata)