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Chip, Pechino vieta a Micron (Usa) di esportare in Cina

Una nota della Cac, la potente Cyberspace Administration of China, ha informato che i prodotti di Micron presentano seri rischi per la sicurezza della rete. Il colosso americano realizza in Cina il 25% del suo fatturato. Grandi manovre occidentali per spostare in Giappone nuove produzioni di semiconduttori


22/05/2023 15:04

di Rossella Savojardo - Class Editori

settimanale
Zhuang Rongwen, direttore della Cac e membro del Politburo del Pcc

A Wall Street il titolo di Micron Technology, colosso statunitense che produce chip, ha subito un vistoso calo dopo che il governo cinese, paese in cui la società genera il 25% dei ricavi,  ha deciso di bandire i prodotti del gigante Usa, escludendolo dai principali progetti infrastrutturali del Paese.

Secondo Pechino i prodotti realizzati dal colosso statunitense dei chip rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale. In una dichiarazione resa pubblica domenica, la Cyberspace Administration of China (Cac) ha affermato che «la revisione dell’Autorità ha rilevato che i prodotti di Micron presentano seri rischi per la sicurezza della rete, che pongono rischi significativi per la sicurezza della catena di fornitura dell'infrastruttura informativa critica della Cina, influenzando la sicurezza nazionale della Cina». 

Il Cac non ha fornito dettagli sui rischi che ha detto di aver trovato o in quali prodotti Micron li ha effettivamente riscontrati. Un portavoce di Micron ha confermato alla Bbc che la società aveva ricevuto l’avviso del Cac in seguito alla sua revisione dei prodotti di Micron venduti in Cina. «Stiamo valutando la conclusione e valutando i nostri prossimi passi. Non vediamo l’ora di continuare a impegnarci nelle discussioni con le autorità cinesi», ha aggiunto il portavoce della società.

In risposta, il governo degli Stati Uniti ha affermato che collaborerà con gli alleati per affrontare quelle che ha definito distorsioni del mercato dei chip di memoria causate dalle azioni della Cina. «Ci opponiamo fermamente alle restrizioni che non hanno alcun fondamento nei fatti», ha detto un portavoce del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. «Questa azione, insieme alle recenti incursioni e al targeting di altre aziende americane, è incoerente con le affermazioni di Pechino secondo cui sta aprendo i suoi mercati e si è impegnata in un quadro normativo trasparente».

L’annuncio del Cac è arrivato il giorno dopo che i leader del G7 in Giappone hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che criticava la Cina, incluso il suo uso della «coercizione economica». Domenica, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha affermato che le nazioni del G7 stanno cercando di «ridurre i rischi e diversificare le nostre relazioni con la Cina. Ciò significa adottare misure per diversificare le nostre catene di approvvigionamento», ha aggiunto.

La decisione di Pechino potrebbe aver preso in considerazione anche le ultime mosse della stessa Micron, che giovedì scorso ha preso parte a un incontro con il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, e alcuni dei principali produttori di chip i quali hanno discusso dei piani di espansione e di produzione nel Paese.

Tra le società coinvolte ci sono anche Taiwan Semiconductor Manufacturing, Intel e perfino l’azienda coreana, Samsung Electronics. I loro piani potrebbero garantire al Giappone la trasformazione necessaria per riemergere come potenza dei semiconduttori. Tokyo ha messo sul tavolo un piano miliardario per riemergere come mercato di riferimento nel settore dei semiconduttori.

Il colosso Tsmc ha espresso la volontà di espandere il proprio business in Giappone, dopo aver accettato di costruire un impianto Kumamoto, città giapponese nell’isola di Kyushu. 

Stando a quanto riferito dal Financial Times, invece, Samsung starebbe discutendo la creazione di un centro di ricerca e sviluppo da 30 miliardi di yen a Yokohama, con linee pilota per dispositivi a semiconduttore. La realizzazione del progetto rappresenterebbe una prova concreta del disgelo tra Tokyo e Seul, tanto sperato dagli Stati Uniti per far fronte comune nella regione.


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