Il pericolo per la tutela della proprietà intellettuale non si annida più nelle piattaforme e-commerce. È verso i social network e le applicazioni di messaggeria che si è spostata la contraffazione. «Sono diventate il selvaggio West, poche agenzie governative infatti prestano a questi strumenti la stessa attenzione data alle società di e-commerce», spiega Matthew Bassiur, vice president, head of global intellectual property enforcement di Alibaba.
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L’occasione è il forum sulla proprietà intellettuale organizzato come una sorta di roadshow con il quale il gruppo di Hangzhou si è presentato alle aziende italiane come canale privilegiato per il mercato cinese. Più o meno nelle stesse ore in cui gli imprenditori nella Capitale ascoltavano come proteggere i propri marchi, il colosso guidato dal ceo e presidente esecutivo Daniel Zhang debuttava in Borsa a Hong Kong con un rialzo del 6,6% dopo aver piazzato, in dual listing, la più grande quotazione dell’anno, almeno fino all’ipo del gigante energetico saudita Aramco.
«Alibaba è un gruppo globale, anche se ogni tanto viene percepita erroneamente come solo un’azienda cinese», rimarca Bassiur. Al suo arrivo in casa Alibaba nel 2016 la percezione attorno al gigante dell’e-commerce, benché già da due anni quotato a New York era diversa. «All’epoca il nostro impegno sul fronte della tutela della proprietà intellettuale era visto con sospetto». Quando la società entrò a far parte dell’Alleanza internazionale contro la contraffazione (Iacc) più di un grande marchio alzò il sopracciglio. In tre anni però molta acqua è passata sotto ai ponti.
Nel 2018 le richieste arrivate attraverso la Alibaba Intellectual Property Platform per rimuovere prodotti contraffatti sono diminuite di un terzo. Nello stesso periodo anche il numero di merce identificata per rimozione proattiva sulle piattaforme Alibaba è crollato del 67%. «Abbiamo messo in campo una strategia su tre livelli. Il primo è la procedura di segnalazione e rimozione. Chi ritiene che i propri diritti di proprietà intellettuale siano stati violati può segnalare il problema e chiedere la che la merce contraffatta venga rimossa. Il secondo pilastro è il monitoraggio proattivo, che portiamo avanti di nostra iniziativa attraverso algoritmi e modelli per identificare i falsi. Infine c’è l’offline, nei tribunali sul piano sia civile sia penale», spiega Bassiur.
«Nessuno di questi elementi può però funzionare senza la collaborazione con tutti gli attori in campo, non soltanto i detentori dei diritti, ma anche le agenzie governative, i ministeri, le associazioni, il mondo accademico». A oggi, evidenzia, Alibaba ha accelerato la gestione delle segnalazioni da parte dei detentori di diritti, da 4-5 giorni a meno di 24 ore, sulle proprie piattaforme. Inoltre attraverso tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e gli algoritmi, il 96% dei falsi viene rimosso proattivamente ancora prima che sia venduta anche un sola copia.
In parallelo Alibaba si muove sul piano giudiziario, utilizzando data analytics per colpire produttori e distributori di falsi. Nel 2018 la collaborazione con le forze dell’ordine ha portato all’arresto di 1.953 sospetti. Per il futuro corteggia le pmi italiane. Per la piattaforma B2B Alibaba.com l’obiettivo è di arrivare ad almeno 10mila aziende nei prossimi quattro anni.
A loro Bassiur dà come primo consiglio la registrazione di marchi e brevetti in Cina: «In caso contrario non possiamo intervenire per tutelarle su marketplaces rivolti ai consumatori cinesi». Intanto sulla propria piattaforma continua a fornire un programma gratuito e strumenti rivolti proprio alle pmi, quelle che, sottolinea il top manager, «spesso non hanno i mezzi per muoversi come i grandi marchi a propria tutela». (riproduzione riservata)