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La Cina risponde al Chip Act di Biden con un nuovo fondo

Per rafforzare l’industria locale di semiconduttori, in particolare la costruzione delle macchine necessarie a produrre i chip, il Ministero della finanze di Pechino ha annunciato la costituzione di un nuovo veicolo finanziario da 40 miliardi di dollari. Altri due fondi sono già operativi da una decina d'anni con lo stesso obiettivo


05/09/2023 17:07

di Luca Carrello - Class Editori

settimanale
Zhang Xin, ceo del China integrated circuit industry investment fund

 La Cina è pronta a lanciare un fondo statale da 300 miliardi di yuan (40 miliardi di dollari) per rafforzare l’industria locale di semiconduttori, in particolare la costruzione delle macchine necessarie a produrre i chip. Si tratta di una risposta diretta al Chip Act del presidente americano Joe Biden che mira a tagliar fuori il mercato del Dragone dalle forniture di semiconduttori prodotti da industrie americane.

La cifra a cui puntano i cinesi è inferiore ai quasi 53 miliardi stanziati dal governo americano. Ma secondo Reuters i 40 miliardi a cui aspira Pechino renderanno il nuovo fondo più corposo dei due già lanciati dal China Integrated Circuit Industry Investment Fund, conosciuto come Big Fund, guidato dal marzo scorso da Zhang Xin, ex funzionario del Ministero dell'Industria. 

Il processo di raccolta dei finanziamenti richiederà mesi, quindi non esiste ancora una data precisa per il lancio del terzo fondo. Quel che è certo è che l’obiettivo di 300 miliardi di yuan - a cui il Ministero delle Finanze cinese dovrebbe contribuire con 60 miliardi di yuan - supera i 138,7 miliardi di yuan e i 200 miliardi di yuan raccolti da due fondi simili nel 2014 e nel 2019. Non può che trattarsi, quindi, del tassello decisivo verso l’autosufficienza nel settore dei semiconduttori auspicata da Xi Jinping.

Senza contare che il terzo fondo lanciato da Pechino nel settore rappresenta una risposta decisa ai limiti all’importazione imposti da Washington: già a fine 2022, infatti, Biden ha vietato alle aziende che si servono di macchinari o software americani di indirizzare i propri chip avanzati verso la Cina. Una mossa da cui i cinesi hanno preso spunto quando a luglio hanno ristretto le esportazioni di gallio e germanio, metalli critici nell’industria dei semiconduttori. (riproduzione riservata)


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