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La sfida Usa-Cina sui chip: Pechino è indietro però investe di più

I governi delle provincie cinesi hanno messo sul piatto altri 40 miliardi di euro che si aggiungono ai 45 miliardi del governo centrale. Gli investimenti cinesi nel settore dei semiconduttori sono cresciuti complessivamente del 407% nel solo 2020. Nell'ambito del piano Made in China 2025 Pechino punta a produrre il 70% dei chip che consuma entro i prossimi quattro anni


22/12/2021 11:01

di Francesco Bertolino - Class Editori

settimanale

La supremazia nel campo dei chip sarà decisiva per i rapporti di forza fra le due superpotenze, Usa e Cina,  che stanno perciò investendo massicciamente sullo sviluppo di filiere autonome e all'avanguardia, secondo un'analisi realizzata da Nina International, società di consulenza strategica con sedi a Roma e Firenze. «I chip giocano un ruolo essenziale nel funzionamento dell'economia moderna», spiega Domenico Petrolo, presidente di Nina, «e sono una priorità strategica assoluta per determinare il futuro degli equilibri geopolitici».

Al momento la loro produzione è fortemente concentrata con cinque aziende che si spartiscono il 90% della manifattura globale. Di queste solo due, la sudcoreana Samsung e soprattutto la taiwanese Tsmc, sono in grado di fabbricare i chip più avanzati, quelli sotto i 10 nanometri. Da qui l'importanza strategica di Taiwan, contesa fra Pechino e Washington.

La fiorente industria dei chip dell'isola conta sui contratti con aziende statunitensi per il 60% dei suoi ricavi, ma mantiene rapporti commerciali stretti con la Cina che l'anno scorso ha importato semiconduttori per 350 miliardi e rappresenta perciò il più grande mercato di sbocco.

Consapevoli del precario equilibrio di Taiwan, le due superpotenze puntano a creare una propria industria dei semiconduttori. Benché in ritardo tecnologico, specie sui chip più avanzati, Pechino è partita in anticipo. Il China Integrated Circuit Industry Investment Fund (Cicf), fondato nel 2014 e supervisionato dal Ministero dell'Industria e delle Tecnologie Informatiche, ha ricevuto in due round di finanziamento un totale di 342 miliardi di renminbi, circa 45 miliardi di euro, il 67% dei quali è stato impiegato per aumentare la produzione di chip fisici.

I governi delle provincie cinesi hanno messo sul piatto in totale altri 40 miliardi di euro e gli investimenti nel settore dei semiconduttori sono cresciuti complessivamente del 407% nel solo 2020. Nell'ambito del piano Made in China 2025 Pechino punta a produrre il 70% dei chip che consuma entro i prossimi quattro anni, un obiettivo ritenuto dagli esperti irrealizzabile anche alla luce delle recenti limitazioni imposte dai governi ai rapporti industriali fra aziende cinesi e americane.

Pur privi di capacità manifatturiera, infatti, gli Stati Uniti godono di un primato indiscusso nel design dei chip grazie ad aziende come Qualcomm, Amd e Nvidia. L'amministrazione presieduta da Joe Biden intende però incrementare anche la capacità produttiva locale con Chips for America act. Il governo Usa ha così firmato accordi sia con Tsmc che con Intel per l'apertura di nuovi impianti sul suolo americano e annunciato investimenti per 50 miliardi di dollari nell'industria dei semiconduttori.

Quale ruolo spetta all'Europa in questa battaglia per i chip? Di spettatore o protagonista? Nel Continente hanno sede aziende produttrici di macchinari necessari alla fabbricazione di semiconduttori, come l'olandese Asml, le tedesche Zeiss e Trumpf. Inoltre l'Europa può contare anche su due produttori di chip, il campione italo-francese Stmicroelectronics e la tedesca Infineon. Secondo il centro Nina, sarà perciò importante che l'Ue riesca a proteggere queste eccellenze e a coordinare gli investimenti dei governi membri per aiutarle a crescere. (riproduzione riservata)


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