Cresce l’export sui canali digitali e raggiunge nelle vendite dirette i 5,4 miliardi di euro. Ma resta comunque molto da fare e su più fronti. Gli spazi di sviluppo per le aziende italiane sono infatti ampi. Se ne parla oggi al Focus Netcomm dal titolo «Digital export, marketplace e lo sviluppo delle imprese italiane». Il convegno è organizzato a Milano dal Consorzio Netcomm, di cui fanno parte 500 player dell’e-commerce e del retail digitale.
«C’è stata una crescita importante delle vendite dirette nell’online da parte delle aziende italiane: dai 4,1 miliardi di euro del 2020 si è passati ai 4,7 del 2021 e ai 5,4 di quest’anno», spiega Roberto Liscia, presidente di Netcomm. «E se la bilancia import/export nel 2022 è negativa per 2,8 miliardi - importiamo nel 2022 per 8,2 miliardi - è solo perché l’attenuarsi della pandemia ha ridato spinta al turismo, alimentando così gli acquisti di biglietti aerei venduti da compagnie estere lowcost. In ogni caso, i 5,4 miliardi generati da vendita online diretta su mercati esteri rappresentano soltanto l’1% dell’export italiano nel suo complesso. E, pensando che al mondo ci sono oltre due miliardi di potenziali clienti online, è chiaro che possiamo e dobbiamo fare molto di più».
Nel B2C i settori in cui il digital export italiano è più forte sono abbigliamento e fashion, arredamento, cosmetica, food. Questi comparti hanno da sempre un saldo positivo: ad esempio l’abbigliamento esporta online con vendita diretta beni per 3,1 mld di euro a fronte di un import per 500 milioni (dati Netcomm e Politecnico di Milano). In ambito B2B le imprese italiane sono forti invece nella componentistica e nei prodotti intermedi per la manifattura. Ma quali sono i mercati esteri più attraenti? «L’Europa è il più interessante e anche il meno ostico», spiega Liscia. «Con la Brexit, il mercato inglese è diventato invece più complesso per via di dazi e logistica. L’America continua a rappresentare un’ottima opportunità perché il Made in Italy gode di un’alta reputazione. Lo stesso dicasi per la Cina. Bisognerebbe però iniziare a guardare con interesse anche al resto dei mercati asiatici e all’Africa».
In un contesto internazionale molto competitivo, i margini di errore sono minimi. «Le competenze per avere successo sui canali digitali sono alla base di tutto ma purtroppo in Italia ce ne sono poche e dalla scuola ancora poche ne escono. Il secondo tema da affrontare è quello della digitalizzazione e automazione dei processi che ci vede, anche qui, indietro rispetto ai concorrenti. È poi necessario, per ogni singolo mercato, definire strategie ben chiare su tutti i fronti: canali, prodotti e servizi. Il rischio di sottostimare l’impegno e le risorse necessarie è sempre presente. D’altra parte, pensare oggi di restare fuori dai canali digitali è anacronistico: dove non c’è capillarità di distribuzione, come ad esempio nei Paesi emergenti, se non vendi online non sei proprio sul mercato».
Le aziende possono scegliere di vendere spedendo merce direttamente dall’Italia o, nei casi di bassa marginalità, avvalendosi di un distributore locale. La terza via, la più semplice e adottata, è quella dei marketplace. «Queste piattaforme, molto valide per approcciare un mercato estero, devono però essere complementari alla capacità delle imprese italiane di giungere a una vera e propria vendita diretta nel Paese. Solo così è possibile conoscere a fondo il proprio cliente, posizionare correttamente il brand e sviluppare le migliori strategie per ogni mercato». (riproduzione riservata)