In mezzo alla steppa della Mongolia Interna, arida regione nel nord della Cina, c'è una miniera d'oro informatica: un cluster, del valore di miliardi di dollari, in cui saranno racchiusi i maggiori data center del Paese, ovvero le infrastrutture fondamentali per archiviare ed elaborare i dati informatici.
Tutto è iniziato nel 2012 con la creazione del data center Hohhot Cloud Computing Base. Un investimento di oltre 50 miliardi di yuan (6,5 miliardi di euro) per 237 mila armadi rack (torri computer dove sono collezionati i dati degli utenti di internet) e 3,7 milioni di server concentrati in 25 chilometri quadrati. La più grande infrastruttura di cloud computing della Cina contiene già i dati di piattaforme come Baidu e Alibaba nonché quelli non top-secret di diversi uffici governativi. Sempre nella Mongolia Interna prosegue anche la costruzione di altri due data center, il China Mobile e il China Unicom, e del parco informatico Shengle. Proprio a luglio inoltre il governo cinese ha varato il Three Year Action Plan, che prevede la realizzazione di infrastrutture con un pue (power usage effectiveness, l'unità di misura dell'efficienza di un data center) di 1,3 entro il 2023.
Benché siano strutture da centinaia di milioni di dollari, non sono paragonabili al valore dei dati al loro interno, vera e propria miniera d'oro per i governi: «Attraverso i cloud provider è possibile avere una profilazione pervasiva della popolazione», spiega a Milano Finanza Andrea Lisi, titolare dello studio legale Lisi ed esperto di diritto informatico. Non stupisce quindi che Stati Uniti e Cina, le due superpotenze mondiali, stiano facendo il possibile per costruire la più solida rete infrastrutturale. A livello globale «il mercato delle infrastrutture dedicate allo storaggio ha ricevuto un'accelerazione netta», nota Alessandro Mancini, co-head della divisione Industrial & Logistics di Cushman & Wakefield Italia. Stando a un report di Cushman & Wakefield, negli ultimi 10 anni gli investimenti nei data center sono saliti a 100 miliardi e, a detta di Mancini, «il giro d'affari nel cloud computing è aumentato di 130 miliardi a livello globale». Di sicuro «gli Stati Uniti sono partiti molto prima» e, con oltre 2 mila data center sparsi per il Paese, vantano la più grande rete infrastrutturale al mondo. Eppure, aggiunge Lisi, da 10 anni «la Cina sta facendo passi da gigante per colmare il gap». E non solo a livello infrastrutturale, ma anche legale. A giugno per esempio Pechino ha approvato la Data Security Law che vieta il trasferimento dei dati sensibili dei cittadini senza autorizzazione delle amministrazioni locali. La norma entrerà in vigore il 1° settembre e prevede multe fino a 10 milioni di yuan (1,3 milioni di euro) per fuga dolosa di informazioni. (riproduzione riservata)