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Azienda Manifatturiero

Blockchain a tutela della Made in Italy nel tessile moda

Un progetto del Mise con il coinvolgimento di Smi e Ibm fornirà etichette di tracciabilità per tutte le fasi di lavorazione. Primo test su 30 aziende. Apripista di questa operazione è il settore tessile-moda. A metà aprile uno studio di fattibilità, focalizzato su tutta la filiera


09/05/2019 10:59

di Milena Bello - Class Editori

tessile

Il Mise-Ministero dello sviluppo economico ha dato il via lo scorso aprile a un progetto per sfruttare la tecnologia blockchain per la creazione di nuove forme di tutela del Made in Italy. Apripista di questa operazione è il settore tessile-moda con il coinvolgimento di Smi-Sistema moda Italia e di Ibm come sponsor tecnico, è stato avviato a metà aprile uno studio di fattibilità, focalizzato su tutta la filiera del tessile (dalla torcitura del filo fino al prodotto finito), che possa costituire un modello di base per tutti i settori del Made in Italy.

Le tempistiche sono strette: a fine maggio è previsto un ulteriore incontro mentre a fine giugno saranno esposti gli esiti dello studio, per il quale sono state coinvolte una trentina di aziende tra le quali Cotonificio Albini, Gruppo Colle, Tessitura SericaA.M. Taborelli, Tintoria Finissaggio 2000, Comofil e Fratelli Piacenza. Il progetto, rivoluzionario in termini tecnologici perché sfrutta per la prima volta in questo ambito il metodo della blockchain (un registro elettronico pubblico nel quale vengono archiviate in modo sicuro, verificabile e permanente transazioni che avvengono tra due utenti) per gestire tutte le informazioni sulla produzione di un capo di abbigliamento, a partire dalla filatura fino alla confezione, in modo da dare la possibilità al consumatore di conoscere la provenienza di tutti i passaggi produttivi. Tutti i passaggi saranno codificati attraverso le tecnologie comuni (probabilmente il Qr code).

«Oltre a capire se un prodotto è realizzato in Italia o all’estero, sarà utile anche per capire può essere riciclato o meno. Per esempio, se è stato tinto in Europa le aziende si saranno adeguate al regolamento Reach», racconta a MFF Andrea Taborelli, vice presidente di Smi con delega alla tracciabilità. «Fino ad ora non si conoscono i passaggi precedenti la confezione. Sul capo finito è applicata una etichetta dove, a discrezione del confezionista e quindi su base volontaria, può essere scritto dove è stato prodotto», spiega Taborelli. Il tema dell’etichettatura di provenienza è un dossier sul quale la politica ha tentato diverse soluzioni tutte o quasi fallite (basti vedere il caso del cosiddetto regolamento Made in proposto nel 2014 in ambito comunitario e rimasto in stand-by). L’etichetta di tracciabilità potrebbe avere maggiori chance di andare finalmente in porto. «In questo caso si tratterebbe di un’etichettatura su base volontaria che, ci auspichiamo, possa mettere in moto un circolo virtuoso: chi la inserirà nei propri capi darà la possibilità al consumatore di conoscerne l’intera storia, mettendosi in luce per la sua volontà di dare un’informazione trasparente». I vantaggi per il Made in Italy e in generale per il Made in Europe, secondo il vice presidente di Smi, sono evidenti.

«Questo sistema, a mio avviso, potrebbe sostenere in modo più sano la politica europea di riportare la manifattura in Europa rispetto ai dazi». Il tutto senza un aggravio di costi per le singole aziende. «Le informazioni già in mano alle aziende nel momento in cui realizzano un capo. Non c’è bisogno di un cambiamento del sistema informatico, solo di una maggiore educazione informatica». Proprio su questo fronte, l’obiettivo è poter contare su un supporto concreto da parte del Mise.


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