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L'Asia resta il punto fermo della moda nel 2019 segnato dalle sfide

Il settore dovrà fare i conti con il contesto economico internazionale. Nonostante le incertezze, il comparto è previsto in leggera crescita, recuperando così il rallentamento del 2018 rilevato dal Centro studi di Confindustria moda per Smi-Sistema moda Italia. In crescita Hong Kong +4,3% e il Giapponea +7,9%. Vola la Cina, +41% a 343 milioni di euro.


20/02/2019 16:53

di Fabio Gibellino - Class Editori

Il 2019 sarà l'anno delle sfide per la moda

La moda potrà contare sull'Asia. La performance positiva attesa dalla regione, il turismo dello shopping e la crescita del mercato online saranno drivere che permetteranno al settore di crescere in un anno, il 2019, che una volta concluso verrà ricordato come quello delle sfide. D’altronde oggi ci si trova davanti a un contesto molto complicato. E soprattutto, il business della moda è diventato più grande e maturo. Così grande da risentire delle influenze della politica globale. Gli occhi del settore sono puntati sull’asse Washington-Pechino e su Londra-Bruxelles, per capire quali saranno gli effetti di una Brexit in divenire.

Si vivrà anche nell’attesa di capire cosa sarà dell’Europa unita dopo le elezioni del prossimo maggio e per ultimo, ci sarà da fare i conti con i danni provocati dai weekend parigini dei gilet gialli. Nonostante tutto, però, le stime, figlie dei primi ordinativi raccolti dalle case di moda e degli studi degli analisti parlano di crescita, anche se moderata e compresa in una forbice del 3,5-6%. Secondo il bilancio preconsuntivo del 2018 elaborato dal Centro studi di Confindustria moda per Smi-Sistema moda Italia, il giro d’affari nei 12 mesi appena conclusi si sarebbe fermato al +0,5%, passando dai 13,227 miliardi di euro del 2017 agli attuali 13,287 miliardi di euro. A trainare, e per quest’anno a salvare, il mercato, come di consuetudine, sono state le esportazioni, previste a quota 8,374 miliardi di euro, cresciute del 2% e rappresentati il 63% del valore totale.


 L’ultima parte dell’anno è stata la meno incisiva e le piazze più tradizionalmente favorevoli sono state quelle più penalizzanti. Soprattutto l’Unione europea, che considerata nella sua pienezza, è di fatto la colpevole del rallentamento a causa del suo -2,1% per 3,789 miliardi di eurocon la Germania a 759 milioni di euro (-2,9%) e la Spagna crollata del 7,7% per 377 milioni di euro. La nota positiva, paradossalmente, è arrivata dal Regno unito per Brexit, che ha registrato un +6,9% per 518 milioni di euro. Per il resto, i soccorsi sono arrivati dai paesi europei extra-Unione, +7,5% per 3,68 miliardi di euro, con la Svizzera sugli scudi, +12,3% per 553 milioni di euro. Anche al di là dei confini continentali, gli Stati uniti hanno registrato +4,9% per 565 milioni di euro, Hong Kong ha segnato un +4,3% per 535 milioni di euro, il Giappone ha compiuto un balzo da +7,9% per 324 milioni di euro e la Cina è volata addirittura a +41% per 343 milioni di euro.
 


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