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Shein, il primo retailer cinese, vuole diventare marketplace come Amazon

In 10 anni, la società fondata a Nanjing nella provincia di Jiangsu, che si rifornisce prevalentemente nel Guangdong ma opera da Singapore, ha scalato le classifiche mondiali dell'e-commerce e dovrebbe chiudere l'anno con 24 miliardi di dollari di fatturato. Il segreto? Prezzi ultra-bassi


12/12/2022 11:28

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale
Chris Xu, fondatore e ceo di Shein

Shein, uno dei più grandi retailer online di abbigliamento al mondo, sta pensando di andare oltre il suo convenzionale modello di business, basato sulla vendita di capi d'abbigliamento a marchio proprio, e diventare una piattaforma marketplace che consenta ad altri commercianti di vendere in maniera diretta ai clienti.

Secondo il Wall Street Journal, che cita una nota della società agli investitori, Shein, nata in Cina, ma ora con sede a Singapore, sta diversificando inoltre la propria catena di approvvigionamento lontano dalla Cina, avviando già da metà dell'estate la produzione in Turchia e affittando magazzini in Polonia per immagazzinare merci e spedire ai clienti nell'Europa occidentale.

La catena di approvvigionamento dell'azienda è radicata in gran parte nella provincia meridionale cinese del Guangdong, il principale polo produttivo del Paese, dove dispone di una rete di oltre 3.000 fornitori.

«La piattaforma marketplace rende disponibile una gamma di merci e opzioni di spedizione aggiuntive e ci aspettiamo che si traduca in un maggiore coinvolgimento e soddisfazione dei clienti», si legge nella nota.

Shein è cresciuta rapidamente dal 2012, quando ha incominciato a operare, fino a diventare uno dei maggiori retailer online al mondo sulla base di un modello di business che offre un vasto assortimento di abbigliamento a prezzi ultrabassi e segue la rapida evoluzione delle tendenze della moda. Con un valore di oltre 100 miliardi di dollari e sostenuta da grandi investitori come Sequoia Capital China e General Atlantic, la società dovrebbe generare quest'anno un fatturato di 24 miliardi di dollari.

La creazione di un marketplace porrebbe Shein in competizione diretta con giganti dell'e-commerce come il sito di shopping internazionale AliExpress di Alibaba e Amazon, in un momento in cui i rivenditori a livello globale hanno osservato un rallentamento della crescita a causa dell'incertezza economica e dell'indebolimento della spesa dei consumatori in alcuni mercati.

Fondata a Nanjing nella provincia di Jiangsu, da Chris Xu, che è anche il ceo, Shein si è trasferita nella sua nuova sede centrale al Marina Bay Financial Centre di Singapore nel febbraio 2021. Da allora il suo numero di dipendenti è cresciuto da cinque a circa 100, compresi i dirigenti senior che ricoprono posizioni a livello globale e regionale.

Attualmente, la piattaforma vende e spedisce prodotti in oltre 150 Paesi e offre anche abiti più costosi come abiti da sera e articoli per la casa, diventando così uno dei principali rivali dei giganti europei del fast fashion, come Zara e H&M, che vendono abbigliamento e accessori nei negozi e online.

Shein si è differenziata dai concorrenti per un modello di produzione "on demand" che utilizza un software proprietario per tracciare la produzione in tempo reale e misurare le preferenze e la domanda dei clienti utilizzando algoritmi che tengono conto degli ordini effettuati, del comportamento di navigazione sull'app e altri dati.

Non mancano tuttavia le ombre. Data la sua forte dipendenza dai fornitori cinesi, Shein ha anche dovuto far fronte a numerose domande degli Stati Uniti sull'utilizzo del cotone proveniente dalla regione cinese dell'estremo ovest dello Xinjiang, dove le autorità sono accusate di sfruttare la popolazione musulmana uigura.

Quest'anno è entrata in vigore una nuova legge statunitense chiamata Uyghur Forced Labor Prevention Act che consente alla dogana americana di sequestrare le spedizioni di qualsiasi merce prodotta nello Xinjiang a meno che le aziende non possano dimostrare che le loro catene di approvvigionamento siano esenti dal lavoro forzato.

Nella nota, la società ha dichiarato agli investitori che non possiede fornitori situati nella regione dello Xinjiang, e che la politica aziendale impone di non lavorare con nessuna delle entità inserite nella lista nera della legge statunitense. L'azienda controlla regolarmente che i suoi fornitori soddisfino i requisiti. (riproduzione riservata)


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