«Nel mercato dell’automotive, e non solo in Cina, è in atto una rivoluzione epocale, uno spartiacque come fu l’avvento del vapore, della ferrovia o del computer. Per di più è uno spartiacque che definisco, parafrasando Rifkin, entropico perché si sta cambiando direzione partendo da una grande confusione». Saro Capozzoli, advisor strategico oltre che dealmaker, da trent'anni operativo in Cina con la sua società Jesa Capital, che ha assistito centinaia di imprese europee a entrare in quel mercato, sta seguendo con attenzione le mosse dei costruttori cinesi sul mercato domestico e all'estero.
Domanda: La Cina sta spingendo molto sull'elettrico, l'unico segmento di mercato in forte crescita. Qual'è l'obiettivo?
R. Individuare un modello alternativo di sviluppo che possa non dipendere da altri e poter così condizionare lo sviluppo del settore in futuro. La rivoluzione dell’elettrico è stata dettata dalla necessità di superare il problema dell’inquinamento. Le città sono intasate, anche perché è stato fatto in passato il grande errore, riconosciuto dalle stesse autorità, di replicare il modello americano nello sviluppo del mercato automobilistico, come se non ci fossero limiti. La volontà cinese è di divenire il primo player al mondo del settore trasporto elettrico, passando anche dal controllo delle risorse naturali necessarie alla produzione di batterie.
D. In che modo stanno procedendo?
R. I livelli di attenzione sono due. Il primo è l’accelerazione spinta sull’elettrico, perché è il sistema che andrà a togliere più rapidamente le auto inquinanti dalle strade. Quindi gli investimenti si stanno concentrando tutti sull’elettrico tradizionale. Il secondo punto di sviluppo è anche la possibile espansione cinese di modelli e tecnologie proprie verso i mercati occidentali, al momento in forte ritardo.
D. Quali effetti sta avendo questa accelerazione?
R. Ci sono circa 1,5 milioni di mezzi elettrici circolanti che stanno creando una situazione nuova in forte evoluzione, anche tenendo conto della progressiva riduzione degli incentivi. Alla progressiva maturazione della tecnologia, corrisponde una normalizzazione del mercato. Fino a 5-6 anni fa incontravo ancora investitori cinesi che cercavano di investire in Europa su fornitori di componenti per motori tradizionali, ma all’improvviso si è verificato un raffreddamento, proprio per il cambio di visuale sul mercato.
D. Che cosa sta avvenendo?
R. Sono incominciate le grandi manovre, tuttora in corso, per ristrutturare la catena produttiva e la componentistica. Quando ci si sposta sull’elettrico, si va verso una grande semplificazione dell’auto nel suo complesso, una situazione di cui molti costruttori di componenti europei non si sono ancora pienamente resi conto. L'auto elettrica è intrinsecamente molto più facile da costruire, riparare e mantenere rispetto a un'auto termica, circa il 95% dei componenti tradizionali mancano, è una rivoluzione in termini di tecnologia e catena di fornitura. I cinesi non avrebbero mai vinto la battaglia sulle norme anti inquinamento europee, puntando sull’elettrico hanno ribaltato il tavolo a loro favore.
D. Che cosa rischiano le aziende europee?
R. Le molte aziende nel settore o si ristrutturano cercando alternative, investendo di più in R&D, o rischiano nel giro di qualche anno di scomparire o ridimensionarsi fortemente. Può succedere che alla fine di un contratto di fornitura, in genere quinquennale, un costruttore non abbia più bisogno di quel componente e il contratto non venga rinnovato. Sono cambiamenti repentini a cui ci si deve preparare.
D. Sull’elettrico i costruttori cinesi continuano comunque a guardare molto all’Europa. Come mai?
R. Sono interessati ad acquisire tecnologie, materiali compositi per componenti sempre più leggeri, motori, per accelerare la transizione all’elettrico sulla base del modello di motore alimentato con batteria al litio, quello lanciato dalla Tesla, per esempio, che tuttavia pone diversi problemi.
D. Quali soprattutto?
R. Di smaltimento e sicurezza. Non si sa ancora bene che cosa farne delle vecchie batterie che a breve si accatasteranno nei piazzali, ma è soprattutto la sicurezza che preoccupa. Da più fonti sono stati documentati i rischi di incendio, a causa dell’elettrolita liquido, che quando si sviluppa, è difficile da fermare. Sta quasi nascendo un business parallelo di appositi container in cui i vigili del fuoco rinchiudono l’auto che brucia per togliere l’ossigeno. È l’unico modo per domarlo, altrimenti il fuoco può svilupparsi anche per 36-40 ore.
D. Sono superabili questi inconvenienti?
R. Alcune aziende cinesi e giapponesi, soprattutto, si stanno muovendo sotto traccia per sviluppare la prossima generazione di batterie, quelle cosiddette allo stato solido, in cui l’elettrolita non esiste più ed è sostituito da un materiale ceramico, che va a contatto direttamente con i metalli.
D. I vantaggi?
R. Eliminando l’elettrolita, cioè la parte infiammabile, si azzera il rischio di incendio. Dal punto di vista produttivo questa tecnologia permette di produrre batterie in via continuativa, dispiegando e tagliando dei coils. Ma soprattutto una batteria a stato solido sviluppa il doppio di capacità elettrica, viene a pesare il 30% in meno ed occupa metà spazio. È una rivoluzione dove i cinesi e gli americani sono all’avanguardia.
D. A che punto è la sperimentazione?
R. Lo scorso aprile ci sono state le prime produzioni di prototipi e ci sono già negoziazioni in Germania e negli UK per lo sviluppo di eventuali produzioni anche in Europa. I costruttori cinesi saranno i primi a industrializzare queste batterie, e ci sono già progetti per investire miliardi di dollari in questo settore, ho saputo di un progetto da 10 miliardi di dollari in discussione, nonostante la tecnologia sia solo a livello di start up avanzata. I cinesi su questo non si fermano, si buttano per poi correggere eventuali problemi in corso d’opera. Divenire i leaders del settore è la cosa più importante.
D. Quanto costa produrre queste batterie?
R. Un impianto da 10 GW/h, quindi di piccole dimensioni perché serve per alimentare la produzione di non più di 220-250 mila automobili all’anno, viene a costare circa 1,3 miliardi di dollari. Si stanno già progettando impianti da 100 GW quindi con investimenti in scala. Ecco la potenza che sta dispiegando la Cina sui settori strategici.
D. Ma Giappone e Stati Uniti stanno a guardare?
R. La Toyota sta investendo molto sull’idrogeno, direzione corretta ma richiederà tempo per lo sviluppo, mentre sulle batterie a stato solido sono indietro di 8 anni rispetto alla Cina. Gli americani sono indietro di 5 anni, mentre sulle batterie litio tutte le tecnologie si equivalgono.
D. Il sistema Tesla è quindi superato?
R. Si, secondo i cinesi, nonostante alcune innovazioni come quelle che sta proponendo la svedese Northvolt, uno spinoff dal sistema Tesla, tra i cui fondatori c’è l’italiano Paolo Cerruti. Ma Northvolt non ha ancora incominciato a produrre.
D. Perché allora la Toyota, che è all’avanguardia nel mondo sulle tecnologie per l’automotive, punta sul motore a idrogeno?
R. In linea di massima le batterie al litio o a stato solido sono adatte a muovere automezzi a 2 o 4 ruote, ma non bastano per muovere camion o grossi mezzi industriali. L’idrogeno ha grandi potenzialità, ma pone problemi di sicurezza.
D. Spieghi.
R. Per essere portato allo stato liquido, e quindi avere la forma necessaria per essere immagazzinato in sufficiente quantità, deve essere messo sotto pressione ad almeno 700 bar. In Giappone la Toyota ha già in circolazione auto come la Mirai, con un bombolotto di idrogeno liquido sotto i sedili dei passeggeri. L’inconveniente è che ci sono solo poche aziende al mondo, tra cui alcune italiane come la OMB Saleri di Brescia, che sono in grado di mantenere in sicurezza quel tipo di pressione. Inoltre per produrre idrogeno estraendolo dall’idrolisi, richiede energia, che deve essere generata da fonti rinnovabili se no il gioco non vale la candela.
D. In che senso?
R. E’ noto che in Olanda, per esempio, già nel 2016 si è verificata una mini crisi energetica. Mentre Tesla inaugurava il nuovo stabilimento Olanda, ci si era resi conto che le pale eoliche non erano sufficienti a sopperire alla domanda crescente dalla mobilità elettrica, con una domanda di energia che si prevede cresca fino al 50% entro il 2030. Sono state quindi costruite 3 nuove centrali a carbone, due delle quali a Rotterdam. Questo per rispondere alle esigenze immediate di chi la sera si attacca alla presa per caricare l’auto. Ma sulla questione dell’idrogeno c’è un altro inconveniente.
D. Qual è?
R. La distribuzione. Con l’idrogeno ad alta pressione si deve ristrutturare la rete perché i distributori devono essere attrezzati con strutture particolari e sicurezza avanzata
D. Qale sarà allora il punto di arrivo?
R. La possibilità di utilizzare idrogeno a pressione atmosferica. Potrebbe essere una rivoluzione. Alcune società giapponesi e israeliane stanno già sviluppando un sistema per alimentare le celle a combustibile, con idrogeno assorbito in un liquido speciale. Questo liquido, attraverso un processo innovativo a 20 bar di pressione, può assorbire circa 55-60 grammi di idrogeno per ogni litro. Il liquido può essere così contenuto ed utilizzato in un qualsiasi serbatoio a pressione atmosferica. Ho visto il primo prototipo in Israele. Il vantaggio fenomenale, oltre ai bassi costi del liquido di assorbimento, è che si possono utilizzare per la distribuzione le esistenti infrastrutture della benzina (serbatoi, cisterne, etc.), il liquido una volta esausto, potrà così essere scaricato in un’apposita cisterna per il riciclo, e il mezzo potrà così essere rifornito con liquido carico di idrogeno. È una prospettiva che mi affascina, in questo momento si devono guardare le novità con mente aperta perché siamo ad un punto di svolta per la nostra società che si basa sull’automobile.
D. Criticità?
R. La difficoltà di queste aziende a trovare finanziamenti importanti per sviluppare prototipi a livello industriale.
D. Come mai?
R. Chi ha investito miliardi nei sistemi ad alta pressione, non ha interesse a sviluppare sistemi alternativi, si devono prima ammortizzare i forti investimenti fatti, senza considerare l’ostilità di chi sta investendo sull’elettrico.
D. In conclusione?
R. Ci vorranno almeno 10-15 anni prima che l’idrogeno diventi competitivo e a buon mercato, ma sicuramente diventerà il carburante di domani per tutti.