Un consumatore evoluto, che cerca prodotti di alta qualità, personalizzati e internazionali. A molti suonerà strano perché il luogo comune è Cina=low cost, eppure, secondo Deloitte, uno dei big mondiali della consulenza e revisione, il nuovo consumatore cinese è proprio così. Conseguenza di ciò è il grande dinamismo del retail nel paese asiatico, non più solo in termini di quantità, e quindi l’opportunità che quel mercato presenta per l’export italiano.
Nel rapporto «New retail reinvigorates China’s imports. New technologies, new models, and new channels», si spiega come il valore della vendita al dettaglio in Cina nel 2018 sia stato di 38.100 miliardi di renminbi, 4.941 miliardi di euro, in aumento del 9% e come i consumi interni siano la principale leva per la crescita economica del paese con un contributo alla generazione del pil del 78,5% nel primo semestre dello scorso anno, in continua crescita dal 2014.
Un segnale, secondo Claudio Bertone, senior partner Deloitte e responsabile per il settore retail, che mostra «l’attenzione del governo cinese per una crescita economica equilibrata, fondata sui consumi interni e sempre meno dipendente dalla domanda internazionale».
A questo si aggiunga la crescente apertura del mercato cinese: l’importazione di beni di consumo è passata dal 2% del 2006 al 4,4% del 2016, grazie all’istituzione di 11 free trade zones, le zone con agevolazioni di diverso tipo e minori restrizioni e dazi, e la riduzione delle tariffe doganali in diverse ondate.
Nella classifica dei beni di consumo importati in Cina l’Italia è in buona posizione: sesta con il 4% assieme a Regno Unito e Francia. Potrebbe però fare di più se si considera che al secondo posto dopo gli Stati Uniti (13%), c’è la Germania con il 12%, tre volte la quota italiana.
«La Cina si conferma un mercato chiave per il made in Italy», dice Patrizia Arienti, senior partner Deloitte e responsabile consumer industry. «Solo lo scorso anno l’export di beni italiani verso la Cina è stato pari al 2,8% del totale esportato nel mondo, una cifra che l’Italia sta puntando ad accrescere stringendo i rapporti tra i due Paesi. Lo dimostra anche il Memorandum of Understanding siglato lo scorso 23 marzo con cui è divenuta il primo paese del G7 a partecipare formalmente alla Belt and Road Initiative».
Digitale e millennial, secondo il rapporto, sono le chiavi di volta per i beni internazionali. Si tratta dei nati dopo il 1990, che spesso usano l’e-commerce per acquistare beni stranieri. Nei primi due mesi del 2019 lo shopping online ha costituito il 16,5% del totale delle vendite al dettaglio in Cina, per un giro d’affari che si attesta attorno ai 1100 miliardi di renminbi (143 miliardi di euro), salendo del 19,5% rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente.
Il report di Deloitte spiega anche cosa cercano i nuovi consumatori: le richieste si sono spostate dai beni di prima necessità verso prodotti «che incarnano sicurezza e qualità, in cui viene generalmente riconosciuta l’offerta internazionale». Ne hanno beneficiato i prodotti importati per la cura della persona e per l’infanzia, i cosmetici ma anche gli alimentari.
Nel 2017 le importazioni di frutta, verdura, tè e caffè sono cresciute dell’11,72% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore complessivo di 15,7 miliardi di dollari; al contrario, l’import di carne è calato del 3,8% a favore di cibi più salutari. In questo quadro, anche le importazioni di prodotti chimici di uso quotidiano (38,1%), abbigliamento (17,8%), prodotti per la casa (15,8%) sono cresciuti rapidamente.
Contemporaneamente farmaci e prodotti per la salute hanno pesato per il 23,1% sulla bilancia commerciale nel 2017 anche a causa dell’aumento costante della popolazione ultrasessantacinquenne.