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Industria

Come evitare il rischio dell'isolamento per le imprese attive in Cina

Accade che le filiali cinesi di imprese europee o americane tendano a separare la loro operatività dalle case madri per avere un accesso migliore al mercato del Dragone, accreditandosi come partner affidabili e uniformandosi alle normative locali. Ma i rischi di queste scelte sono elevati e vanno valutati attentamente


16/04/2025 16:14

di Carlo Diego D'Andrea*

settimanale
Carlo Diego D'Andrea

Le aziende europee incontrano crescenti difficoltà nel mantenere attività redditizie in Cina, a causa di un contesto normativo sempre più politicizzato e caratterizzato da procedure amministrative onerose. Secondo il Business Confidence Survey 2024 (Indagine sulla Fiducia delle Imprese 2024)  della Camera di Commercio Europea in Cina, solo il 15% delle imprese europee intervistate considera la Cina una destinazione prioritaria per gli investimenti attuali, mentre appena il 12% la ritiene tale per investimenti futuri.

Parallelamente, negli ultimi anni le multinazionali hanno adottato strategie di diversificazione delle catene di approvvigionamento in risposta a eventi dirompenti come la pandemia di Covid 19, le tensioni geopolitiche e l'invasione russa dell'Ucraina. In questo contesto, le aziende stanno bilanciando strategie di onshoring (rilocalizzazione interna) e offshoring (delocalizzazione estera). Un approccio che va oltre è il siloing (isolamento), particolarmente diffuso in Cina. Ma cosa significa esattamente e quali sono le sue implicazioni?

Il siloing si riferisce alla separazione delle funzioni o dell'intera operatività di un'azienda dal resto del mondo in un determinato mercato. Questo approccio è adottato per rispondere ai cambiamenti normativi e alle evoluzioni del contesto locale e globale. In Cina, molte multinazionali ricorrono al siloing per conformarsi pienamente alle normative locali, cercando di accreditarsi come partner affidabili per il mercato cinese e garantire la continuità delle proprie attività.

Le radici del siloing in Cina risalgono agli inizi del XXI secolo, quando il Paese puntava a rafforzare le proprie capacità industriali e la competitività economica. Già a metà degli anni 2000, la strategia mirava a colmare il divario con le principali economie globali, come Stati Uniti ed Europa, attraverso l'autonomia in settori strategici. A tal fine, la Cina ha implementato politiche industriali mirate a sostenere l'innovazione domestica, fissando obiettivi di quota di mercato sia a livello nazionale che internazionale.

Le aziende europee che scelgono il siloing lo fanno per preservare le opportunità offerte dal mercato cinese, garantendosi l'accesso agli appalti pubblici e la collaborazione con partner locali. Molti membri della Camera di Commercio Europea hanno già investito significativamente in questa direzione, rendendo le proprie strutture aziendali pienamente localizzate: supply chain, forza lavoro, vendite e approvvigionamento, fino alla separazione dei sistemi IT e di Ricerca e Sviluppo (R&S). Alcuni esempi pratici evidenziano questa tendenza.

Nel settore delle risorse umane, le aziende assumono sempre meno personale straniero in Cina, un fenomeno accentuato dalla pandemia. Un'indagine della Camera di Commercio Europea ha rivelato che un'azienda su dieci non impiega più personale straniero. Se da un lato l'impiego esclusivo di lavoratori cinesi comporta vantaggi (migliore conoscenza del mercato locale, riduzione dei costi, ecc.), dall'altro presenta sfide significative.

Si osserva, infatti, un crescente disallineamento tra le sedi centrali e le filiali cinesi, oltre a difficoltà nel reperire talenti locali. Sempre più giovani cinesi ritengono che lavorare per un'azienda straniera possa ostacolare future opportunità di carriera presso imprese statali o enti governativi, che tendono a essere sempre più prudenti nel reclutamento di candidati con esperienze lavorative in società straniere o con studi all'estero.

Per quanto riguarda la gestione dei dati e dei sistemi IT, il 23% delle imprese ha dichiarato di aver dovuto localizzare i propri sistemi informatici per conformarsi alle normative sulla sicurezza dei dati in Cina. Questo processo accentua la separazione tra le filiali locali e le sedi centrali, con conseguenze negative sull'efficienza operativa e sull'innovazione globale delle imprese, finendo per avvantaggiare i concorrenti cinesi.

Nel campo della R&S e degli standard tecnologici, molte aziende hanno aperto centri di ricerca in Cina per differenti motivazioni strategiche. Tuttavia, il principale driver di questa scelta è la gestione del rischio: sviluppare R&S localizzata in settori sensibili permette di separare i prodotti destinati al mercato cinese da quelli globali. Questo, però, può portare a inefficienze e duplicazioni di sviluppo, ostacolando l'innovazione e impedendo alle aziende di beneficiare delle innovazioni generate in Cina su scala globale.

Il siloing rappresenta dunque un compromesso complesso: se da un lato può mitigare alcune problematiche normative e operative, dall'altro aumenta i costi, riduce la capacità innovativa e indebolisce la competitività internazionale delle imprese. Inoltre, nonostante gli sforzi per localizzarsi, molte aziende straniere non riescono a qualificarsi come produttori domestici in Cina, a causa di criteri di idoneità poco chiari. Questo scenario porta a un doppio svantaggio: le imprese diventano facilmente sostituibili nel mercato cinese e, al contempo, perdono il loro ruolo di attori globali.

Dal punto di vista cinese, questa strategia sembra favorire la competitività domestica e indebolire le operazioni globali delle imprese straniere. Tuttavia, mentre alcune aziende accettano queste condizioni, altre preferiscono delocalizzare e ridurre la loro esposizione al mercato cinese.

Ciò finisce per isolare la Cina stessa, riducendone il peso nel panorama industriale globale, poiché le multinazionali privilegeranno mercati che consentono operazioni senza restrizioni. Alla fine, questo porta a una situazione di svantaggio reciproco per l'Europa e la Cina, che non riescono a trarre pienamente vantaggio dalla globalizzazione.

In un contesto di crescenti tensioni commerciali globali e di misure protezionistiche adottate da Stati Uniti ed Europa, esistono margini di cooperazione economica tra Europa e Cina. Facilitare l'insediamento delle multinazionali europee in Cina senza imporre loro un distacco dalle operazioni globali rappresenterebbe un passo avanti significativo.

Le recenti dichiarazioni di Xi Jinping al China Development Forum (Forum per lo Sviluppo della Cina) sull'apertura agli investimenti esteri e il suo incontro con i ceo globali a marzo inviano segnali positivi. Tuttavia, è necessario tradurre questi impegni in azioni concrete per ristabilire la fiducia delle imprese e consentire una partecipazione senza ostacoli delle aziende europee al mercato cinese.

In questo momento, in cui è in corso una guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, diventa fondamentale valutare strategie di medio e lungo termine. La localizzazione in Cina può rappresentare un vantaggio competitivo per presidiare il mercato asiatico, ma al tempo stesso implica il rischio di allontanarsi dal sistema statunitense. In questo scenario, sarà cruciale monitorare l’evoluzione dei rapporti geopolitici tra Europa e Cina, per valutare scelte strategiche che siano sostenibili, equilibrate e coerenti con una visione globale integrata. (riproduzione riservata)

 * Managing Partner di D’Andrea & Partners Legal Counsel, Vice Presidente Nazionale della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina (EUCCC) e Presidente del Consiglio di Amministrazione del Capitolo di Shanghai presso EUCCC

 

 

 


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