Come hanno reagito i manager delle imprese cinesi all'emergenza creata dall'epidemia di coronavirus? La difficile inchieste è stata tentata da Korn Ferry, la multinazionale americana specializzata nella ricerca di risorse umane di alto livello e di consulenza organizzativa, che dal 3 al 13 febbraio ha intervistato 300 manager di imprese cinese, un terzo private, un quarto con più di 5 mila dipendenti, per oltre la metà dislocate nella Cina orientale.
Per il 90% del panel l’emergenza influenzerà in modo negativo sul fatturato 2020, tanto che il 36% degli imprenditori intervistati sta valutando di adeguare e rivedere i propri obiettivi di performance. Una società su quattro, inoltre, ha dichiarato di voler apportare "speciali" adeguamenti salariali in risposta alla crisi. In questo scenario, tuttavia, un numero limitato di imprese del settore life science prevede che il coronavirus possa avere un'influenza positiva sulle loro attività.
«Molte multinazionali con filiali in Cina stanno trattando l'epidemia come se affrontassero un momento di recessione nel business. Le grandi aziende, ovviamente, adottano già politiche di compensazione che tengono conto delle interruzioni dell'attività e la maggior parte delle organizzazioni in questo momento è orientata a garantire la continuità della retribuzione», ha spiegato Maurizia Villa, responsabile in Italia della attività di Korn Ferry, «il tema che si porrà post crisi sarà, invece, se e come le aziende dovranno gestire gli obiettivi prestazionali in termini di compensation».
Tra i provvedimenti per affrontare l’epidemia, il 53% dei manager delle Società intervistate considera il telelavoro come prima misura da adottare; il 56% delle società ha inoltre deciso di posporre i propri piani di recruitment per concentrarsi sulla gestione della contingenza. Dalla ricerca emerge infatti che l’attività degli HR nel medio termine sarà più focalizzata sulla gestione degli aspetti pratici immediati, che su temi strategici di lungo periodo.
«Il coronavirus sta per esempio costringendo le aziende a implementare o migliorare i programmi di telelavoro e smart working. Il 66% degli intervistati in Cina ha infatti dichiarato che anche dopo l’emergenza si dovrà incrementare l’estensione di soluzioni di lavoro da remoto per i propri dipendenti, anche se occorre considerare che le percentuali di smart working e il telelavoro hanno valori inferiori in ambiti fortemente manifatturieri», ha spiegato Villa.
I dati raccolti indicano che la crisi dovuta all’epidemia di coronavirus sta avendo maggior impatto sulle piccole aziende: il 22% di queste prevede una flessione dell’attività fino al 30%, mentre il 66% di organizzazioni ‘medium-size’ prevede un calo del 15%.
Dalla survey emerge come il 51% degli intervistati abbia fiducia in una ripresa del mercato; un segnale positivo sottolineato anche dalle imprese del settore dei servizi, come l’ospitalità, la cultura, il B2B, che hanno risentito maggiormente dell’epidemia ma che prevedono una ripresa del mercato entro i prossimi sei mesi. Stime più negative nel settore industriale e manifatturiero.
Inoltre, che il 70% del panel risulta molto soddisfatto dalle misure implementate e di come il management ha gestito il business durante l'epidemia. All’interno di questo 70% - che raggruppa le aziende che hanno dato un punteggio tra 5 e 3,5 per la gestione dell’emergenza - le società che si sono dimostrate maggiormente fiduciose hanno un coefficiente di soddisfazione tra 5 e 4. Sussiste quindi una correlazione diretta tra una buona gestione dell’emergenza e la fiducia verso una ripresa in tempi brevi della propria attività.
«Come in ogni crisi, il coronavirus sta mettendo alla prova la leadership aziendale. L’emergenza ha generato senso di comunità e condivisione, nonostante le imprese siano state danneggiate. Un atteggiamento molto simile a quello che è stato registrato negli USA dopo gli attacchi dell’11 settembre», ha concluso Maurizia Villa, «il management dovrà pianificare con attenzione le strategie per tutti i lavoratori e per i talenti più utili per gestire la fase post-crisi».
La distribuzione geografica delle imprese intervistate da Korn Ferry è per il 54% nella Cina orientale; il 21% nella Cina meridionale; il 21% nella Cina settentrionale e il restante 4% nella Cina sud-occidentale, nella Cina centrale, a Hong Kong, a Macao e a Taiwan.