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Industria

Musk sfida Biden sulla Cina, Tesla apre uno showroom in Xinjiang

Il concessionario è stato aperto il 31 dicembre, in barba alle pressioni dell'amministrazione Usa a non fare affari nella regione dove le autorità sarebbero responsabili di una violenta campagna di repressione con la minoranza musulmana degli Uiguri


03/01/2022 19:11

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale
Lo showroom di Tesla a Urumqi

Tesla ha aperto una nuova concessionaria nello Xinjiang, la remota regione cinese in cui le autorità stanno conducendo una campagna di assimilazione forzata contro le minoranze religiose, che è diventata un pantano di pubbliche relazioni per i marchi occidentali.

Il produttore di auto elettriche ha aperto il nuovo showroom a Urumqi, la capitale dello Xinjiang, il 31 dicembre. "L'ultimo giorno del 2021, ci incontriamo nello Xinjiang. Nel 2022, lanciamo insieme lo Xinjiang verso il suo viaggio elettrico!", ha scritto Tesla in un post sul social media Weibo, accompagnato da immagini di una cerimonia di apertura che includeva danze tradizionali cinesi e persone in posa con cartelli con la scritta "Tesla (cuore) Xinjiang".

Molto ammirata in Cina, Tesla si è espansa rapidamente nel paese più popoloso del mondo. Con la sua recente espansione, tuttavia, la casa automobilistica rischia di incastrarsi in una groviglio reputazionale che di recente ha messo in difficoltà altre importanti aziende americane come Walmart e Intel.

Secondo alcuni analisti, le autorità dello Xinjiang detengono fino a un milione di uiguri e altri membri delle minoranze musulmane turche in una rete di campi di internamento come parte di una campagna di assimilazione del governo, che includerebbe anche sorveglianza di massa, lavoro forzato e rigorosi controlli delle nascite.

Il governo degli Stati Uniti, insieme ad alcuni legislatori di altri paesi occidentali, ha affermato che tali politiche equivalgono a una forma di genocidio. Pechino ha respinto l'accusa di genocidio come un'invenzione, descrivendo la sua campagna nello Xinjiang come uno sforzo innovativo per contrastare l'estremismo religioso e il terrorismo.

A dicembre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha approvato delle nuove regole che vietano la maggior parte delle importazioni dallo Xinjiang a causa delle preoccupazioni sull'uso del lavoro forzato. La Casa Bianca ha anche sanzionato diverse società e individui che accusa di aver partecipato alla campagna di assimilazione.

Lo Xinjiang è diventato negli ultimi tempi un banco di prova per le aziende straniere che fanno affari in Cina. Coloro che abbracciano la regione rischiano problemi normativi e contraccolpi di reputazione nei loro mercati nazionali, mentre coloro che la evitano affrontano l'ira del governo cinese e dei consumatori sempre più nazionalisti.

È il caso di Walmart. Nei giorni scorsi l'autorità anti-corruzione della Cina ha criticato Walmart, mettendola in guardia per un possibile boicottaggio da parte dei consumatori, a seguito di alcune indiscrezioni secondo cui la società avrebbe smesso di rifornire di prodotti dello Xinjiang i negozi in Cina.

Walmart non aveva "motivi giustificabili" per eliminare i prodotti da un'intera regione, ha affermato venerdì la Commissione centrale per l'ispezione disciplinare del Partito Comunista. L'agenzia ha aggiunto che la mossa è stata motivata da secondi fini e mostra "stupidità e miopia". Il retailer americano soffrirà le conseguenze delle sue azioni, ha minacciato la Commissione. (riproduzione riservata)


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