Leggenda vuole che quando a metà degli anni Ottanta, Li Ganpo decise di lasciare il Partito comunista per dedicarsi all’imprenditoria la prima risposta che ricevette dal suo capo fu un no. Ma per le sue aspirazioni non c’era altra strada. D’altronde fino alle aperture di Jiang Zemin all’inizio degli anni 2000 gli imprenditori privati non potevano entrare a far parte del Pcc. Oggi Jingye, gruppo fondato da Li, è indicato come uno dei possibili cavalieri bianchi qualora servisse un piano B sull’ex Ilva di Taranto. O almeno si studia il modello con il quale il gruppo privato cinese è intervenuto per rilevare British Steel con un investimento da 1,2 miliardi di sterline nel prossimo decennio e con la possibilità di salvare migliaia di posti di lavoro, dietro garanzie finanziarie del governo di Boris Johnson pari a 300 milioni di sterline in prestiti e sgravi.
Gli esperti di EY che hanno preparato l’operazione sono stati chiamati a raccolta dal governo per studiare il caso. In realtà trascorso così poco tempo dall’operazione in Gran Bretagna, pensare a un nuovo coinvolgimento all’estero di Jingye è considerato improbabile da fonti finanziare cinesi. La conglomerata nata nel settore della chimica e che ha esteso il proprio raggio d’azione al turismo e all’immobiliare tuttavia pare non aver fatto mistero della volontà di espandersi oltre i confini della Repubblica popolare anche per evitare la concorrenza dei grandi colossi a proprietà statale dell’acciaio settore nel quale è entrata diciassette anni fa. Attualmente tra i produttori cinesi è in 17esima posizione.
I numeri dicono che il gruppo con sede a Ping’an, nella provincia dell’Hebei, può contare su una forza lavoro di 23.500 dipendenti, su un fatturato nel 2018 pari a 90 miliardi di yuan, ossia circa 11 miliardi di euro, utili per 7,4 miliardi di renminbi e una produzione di 11 milioni di tonnellate d’acciaio
Le stesse fonti finanziarie sottolineano anche che nell’affare Ilva sarebbe più probabile immaginare un intervento di altri attori cinesi, come Baosteel, già sondata però due anni fa senza successo.
Data la complessità nella gestione dei possibili risvolti giudiziari e di rapporto con le comunità locali, il dossier Taranto è di quelli dai quali le imprese del Dragone tendono a restare fuori. Tuttavia la cooperazione stretta tra Italia e Cina lungo la nuova Via della Seta potrebbe offrire una spinta politica all’eventuale coinvolgimento della conglomerata fondata da Li, tanto più in un’area quella di Taranto nella quale già la Cosco è stata chiamata a collaborare da Yilport, il gruppo turco che ha ottenuto la concessione del molo polisettoriale, per lo sviluppo del porto.
Ogni previsione si scontra però con l’eccesso di capacità produttiva della siderurgia cinese. Gli ultimi dati dicono che su base annua è cresciuta del 7,4%, in un contesto di calo della domanda interna per via del rallentamento del ritmo di espansione dell’economia cinese. Non sono quindi da escludere nuovi interventi di Pechino che già ha tagliato di 150 milioni di tonnellate la capacità produttiva della siderurgia nazionale. Un altro elemento che i cinesi potrebbero tenere in considerazione è l’eventuale coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti. In ogni caso, infatti, un salvataggio in solitaria di Jingye è escluso anche dai più possibilisti sul loro arrivo in Puglia, che al massimo li vedrebbero in cordata. Su un intervento diretto della spa del Tesoro ieri è intervenuto Francesco Profumo, presidente dell’Acri.
«C’è il tema dello statuto», ha ribadito il numero uno delle fondazioni, socie di minoranza di Cassa con il 18%, facendo riferimento ai vincoli che impediscono di investire in aziende in crisi. Il gruppo guidato da Fabrizio Palermo potrebbe comunque intervenire attraverso le proprie partecipate a sostegno del territorio, all’interno del piano Cantiere Taranto, sul modello di quanto già fatto a Genova dopo il crollo del Ponte Morandi nell’estate dello scorso anno. A questo si riferiva il presidente di Cassa, Giovanni Gorno Tempini, parlando a margine delle celebrazione per i 170 anni dalla nascita dell’istituzione. E già si inizia a ragionare su come poter contribuire al territorio tarantino. (riproduzione riservata)