Nel 2005 la casa automobilistica cinese Jmc tentò di farsi strada in Europa con il marchio Landwind. In pochi mesi ottenne il punteggio più basso mai assegnato a un veicolo nelle prove di sicurezza (zero), scherno per il design maldestro e una denuncia di plagio dalla Land Rover.
L'avventura di Landwind durò poco e fu disastrosa, ma non priva di insegnamenti per gli altri costruttori cinesi e per il governo di Pechino. Nel 2019 un istituto di ricerca a controllo statale ha costruito a Chongqing il primo laboratorio autorizzato per i crash test Euro Ncap al di fuori del Vecchio Continente, presto seguito da un secondo inaugurato lo scorso febbraio.
Per recuperare il ritardo tecnologico e stilistico i costruttori cinesi hanno aperto in pochi anni 15 centri di ricerca e sviluppo e design in Europa. Nel frattempo, l'ex Celeste Impero è diventato il primo mercato auto al mondo, con un tasso di penetrazione dell'elettrico senza pari che ha favorito la nascita della più competitiva e importante filiera delle batterie.
Risultato: da pallide imitazioni, economiche ma di bassa qualità, le vetture cinesi si sono trasformate in prodotti all'avanguardia e di alta gamma. Ora sono pronte a invadere l'Europa, sfruttando la breccia aperta dalla transizione verde in un'industria con barriere d'ingresso altrimenti troppo alte.
Al recente Salone di Monaco di Baviera Great Wall Motors ha annunciato via Germania l'ingresso in Europa con due marchi, entrambi elettrici e hi-tech: Wey e Ora. Il colosso a partecipazione pubblica raggiungerà così Saic, Aiways, Xpeng e verrà presto seguito da Nio, Byton, Byd.
Negli stessi giorni Silk-Faw presentava alla settimana del design di Milano l'esclusiva S9, hypercar da 400 km/h che a partire dal 2023 uscirà dalla fabbrica-laboratorio r&s in costruzione a Reggio-Emilia.
Poche ore più tardi il suv elettrico ES8 di Nio, la cosiddetta Tesla cinese, conseguiva cinque punti su cinque nell'esame di sicurezza Euro Ncap. I campioni del Made in China automobilistico sono insomma pronti a scrollarsi di dosso la patina dozzinale ereditata dalle passate esperienze, un'impresa già riuscita ai produttori di cellulari, computer ed elettronica di provenienza orientale.
Ci riusciranno? Al momento la loro rappresentanza è scarsa e perlopiù limitata ai Paesi più ricchi del Vecchio Continente dove sono presenti le reti di ricarica e gli incentivi pubblici necessari a un'offensiva elettrica profittevole.
L'anno scorso in Europa occidentale sono state immatricolate 23.800 vetture a batteria a marchio cinese, 12 volte in più rispetto al 2019. Il 64% delle esportazioni di auto elettriche da Pechino è finito in soli sei Stati: nell'ordine Belgio, Regno Unito, Germania, Norvegia, Olanda e Svezia.
Il bando a diesel e benzina proposto dall'Ue a partire dal 2035 offrirà però l'occasione di scendere sempre più verso sud di pari passo con la crescita delle infrastrutture e delle vendite elettriche. Magari attraverso collaborazioni strategiche con partner locali.
Lo scorso dicembre, il costruttore di Shanghai Weltmeister ha stretto un accordo con Enel X per incrementare le proprie esportazioni di vetture alla spina, mentre Aiways è arrivata in Italia in giugno appoggiandosi alla rete distributiva del gruppo Koelliker.
D'altra parte è lo stesso governo di Pechino a spingere per la campagna d'Europa con frequenti pubbliche esortazioni e 57,8 miliardi di sovvenzioni “private” concesse fra 2009 e 2017 a diversi costruttori fra cui i due enfants prodiges Nio e Xpeng.
Ad animarla non è soltanto un desiderio di egemonia industriale, ma anche la necessità di porre rimedio al problema della sovraccapacità produttiva delle fabbriche cinesi. Mentre l'accesso agli Stati Uniti è ormai sbarrato dai dazi di Trump e dall'ostilità di Biden, il mercato europeo resterà con ogni probabilità aperto e aggredibile, offrendo spazio per assorbirla.
Nonostante le recenti frizioni e la proposta di uno scudo contro gli aiuti di Stato alle aziende extra-comunitarie, infatti, Bruxelles non ha alcuna convenienza a bloccare l'autostrada da e verso Oriente. I costruttori del Vecchio Continente, Volkswagen in testa, controllano il 60% del mercato cinese, prima fonte di ricavi e profitti a cui tutte le case, anzitutto Stellantis, puntano ad abbeverarsi. Contro una muraglia alla concorrenza cinese si schianterebbero quindi più forte le auto europee. (riproduzione riservata)