Hong Kong sta affrontando una seconda ondata di Covid-19. Sorprendentemente, era stato possibile contenere il contagio tra gennaio e febbraio, a poco più di un centinaio di contagiati e quattro morti. Le misure di blocco della città si sono quindi allentate per essere poi tolte a inizio marzo, tornando così alla normalità. Bar e ristoranti riaperti, cantando vittoria troppo presto, purtroppo.
A metà marzo si sono svolte persino feste nei locali per celebrare l’assenza di casi, specie nella comunità di espatriati, riaccendendo una nuova fiammata di contagi. Al 31 marzo, si contano cumulativamente 683 contagiati nella città, di cui 525 registrati negli ultimi 14 giorni, con 4 morti, su 7,4 milioni di abitanti.
Quindi, il ritorno alla normalità è stato troppo precoce: senza mantenere attive le misure di sicurezza di base, ad esempio la distanza sociale e la protezione delle mascherine, troppo spesso non indossate dalla comunità degli espatriati, sempre restii a farlo.
Hong Kong aveva seguito da subito l’esempio cinese con la chiusura delle scuole e l'isolamento dei malati e familiari. Nonostante questo si è visto come sia stato facile ripiombare nell’incubo dal quale si pensava di essere sfuggiti. Nuova chiusura di bar, ristoranti, come anche limitazioni all’accesso alla città dall’aeroporto. I residenti stranieri in rientro sono tutti sottoposti alla quarantena di 14 giorni in strutture specializzate.
Questi eventi dovrebbero far riflettere. Rilassare troppo presto la guardia, comporta il grande rischio di riaccendere il contagio, come sta accadendo in questo periodo a Hong Kong. La realtà che si sta prospettando per tutti noi è che le misure restrittive dovranno essere mantenute a lungo, come il distanziamento sociale, scuole chiuse periodicamente, almeno per i prossimi 24-30 mesi.
Anche avendo un vaccino disponibile, si dovranno poi produrne almeno 3 miliardi di dosi per somministrarlo alla popolazione e creare così una certa immunità di gregge. I vari cicli di contagio, che potenzialmente potrebbero verificarsi, permetteranno ai sistemi sanitari dei vari Paesi di organizzarsi per rispondere alle varie ondate di contagio e proteggere la porzione di popolazione più debole, anche se esiste sempre il rischio che il virus muti in forme più aggressive per tutti.
Esistono circa 60 diverse varianti del virus che continua a mutare, questo rende sempre più complesso identificare il vaccino universale più adatto, oltre che produrre test tampone mirati.
Sul tavolo si contrappongono due diversi modelli sociali: mentre in Italia si discute quando aprire e il più presto possibile, come suggerisce per primo Matteo Renzi, seguito poi da molti, anche se gradualmente, accettando così il rischio e il ritorno di fiamma del contagio, in Asia questo rischio diventa insostenibile e inaccettabile, data la concentrazione e l’alta densità della popolazione.
In Cina, in Corea e Giappone esiste culturalmente una disciplina sociale intrinseca, la popolazione è sempre propensa a seguire le indicazioni nel contenerne gli effetti, e si protegge anche senza sentirselo chiedere. In Occidente prevale invece l’interesse individuale, con i governi che guardano troppo volentieri ai sondaggi elettorali, piuttosto che prendere decisioni importanti che potrebbero risultare impopolari. Questo potrà costare milioni di morti tra Europa e Stati Uniti, senza contare il Brasile e altri Paesi dove si ritardano misure decise di contenimento, se non si interverrà al più presto con il blocco delle attività e poi successivamente con il vaccino. (riproduzione riservata)
* fondatore e ceo di Jesa Capital a Shanghai, dove vive e lavora da oltre 25 anni