Due fattori hanno caratterizzato nei giorni scorsi le discussioni e le relative considerazioni a proposito della Cina: il dato ufficiale del Pil 2022 ed il decremento demografico, fattori che in alcune circostanze potrebbero essere correlati ma che in realtà sono stati disgiunti nell’anno appena chiuso.
Per quanto concerne il Pil, attestatosi sul 3%, occorre ribadire che è il risultato di un anno anormale dove la dipendenza dall’estero ha avuto sicuramente rilevanza ma più come conseguenza che come causa. Infatti lockdown, limitazioni e poi l’immediata apertura di fine anno ha provocato un’afasia economica concentrata sulla catena del valore, capacità produttiva e materie prime che hanno contribuito ad aggravare la già asfittica situazione concernente l’indebolimento del ciclo economico negli Stati Uniti ed in Europa; si è salvata, grazie all’entrata in vigore del RCEP (Regional comprehensive economic partnership), solo l’area del Sud est asiatico.
Le previsioni per questo nuovo anno puntano su di un Pil del 5% e nel 2024 del 5.8%. In realtà, nell’attuale primo trimestre l’incognita principale riguarda i lavoratori migranti che, dopo tre anni, sono ritornati nelle proprie aree rurali portandosi appresso il rischio di diffondere il Covid ed esserne parte.
Questo “Chunyun“ o trasporto di primavera, iniziato nell’era di Deng Xiaoping, potrebbe riservare sorprese nel senso che, a fronte di questa aleatorietà sanitaria, alla fine di febbraio dovrà esserci una certezza: le fabbriche dovranno essere in grado di garantire la piena capacità produttiva.
Il Presidente Xi Jinping ha affermato che «la pandemia è entrata in una nuova fase ed ora la priorità concerne le aree rurali e i loro residenti». Questa è la condizione necessaria ma non sufficiente: infatti se questo non dovesse avvenire, la ripresa degli ordinativi, di cui per ora non si conoscono ancora i volumi, potrebbe essere pregiudicata in quanto i clienti occidentali potrebbero essere costretti a trovare localizzazioni produttive differenti ma con garanzia di consegna.
Infatti lo scorso dicembre, con fabbriche la cui presenza occupazionale non superava il 20% a causa della pesante situazione sanitaria, si era verificata l'impossibilità di evadere ordini.
Scorrendo gli ultimi trent’anni, senza riandare al famoso 1976, si nota che il Pil, con una media dell’ 8.9%, ha avuto un calo solo nel 1990 con un 3,9% che si aggiunge all’anno pandemico (2020) con il 2,2% e a quello in oggetto dello scorso anno.
Dal momento che oggi esiste una situazione congiunturale mondiale molto più complessa della schematica linearità dei cicli del passato, è assolutamente indeterminabile oggi avere nelle mani dati che comunque dovranno fare riferimento alla situazione produttiva di marzo.
Inoltre, prendere in considerazione questi giorni a cavallo del Capodanno cinese come indice di riferimento della disponibilità a spendere del consumatore cinese, anche in virtù dei milioni di vouchers che le municipalità stanno distribuendo ai propri cittadini, è un po' avventato.
Questa ipotesi dovrebbe essere la potenziale base del consumo domestico dei prossimi mesi che da fonti bancarie internazionali dovrebbe nel paniere del Pil occupare un 4%. Ma rimane il fatto che da più parti istituzionali si spera che consumi e servizi possano recuperare nel secondo trimestre dell’anno.
Per quanto riguarda, invece, la diminuzione della popolazione accertata recentemente, le possibili conseguenze si vedranno negli anni a venire. Il National Bureau of Statistics (NBS) ha rilevato un calo della popolazione che non avveniva dal 1960 dai tempi del Grande Balzo in avanti di Mao Zedong. La fotografia demografica mette però in luce l’avvicinamento forse dovuto a cause diverse ma con il medesimo effetto di quanto sta avvenendo in occidente.
Con una affermazione tranchant di qualche anno fa, Zhang Yimou, il grande regista cinese di Sorgo rosso, diceva che «la Cina per diventare ricca deve cambiare tutto. Se lo fa cancella se stessa...».
Potrebbe sembrare paradossale ma, al di là della politica del figlio unico che ha caratterizzato oltre un quarto di secolo, oggi l'ipoteca maggiore sulla crescita viene dalle difficoltà generate da un modello di vita che ha abbandonato i vecchi schemi della “pietà filiale” di confuciana memoria e della presenza della figura dei nonni che ricoprivano il ruolo di tutori dei nipoti per lasciare il posto a inurbamenti pressanti sul fronte occupazionale (migrazioni interne dalle province alle città di prima o seconda fascia).
Infine, per una sorta di emancipazione di costume quale conseguenza di maggiori redditi familiari che hanno permesso l’incremento dell’attività turistica ed una qualità della vita diversa dal passato almento fino al 2019, era preCovid, si è giunti ad avere meno figli.
Forse in risposta a questa istantanea sulla popolazione cinese con calo delle nascite ed incremento dei decessi degli anziani, la scorsa settimana il Governo ha varato un piano per incrementare l’uso della robotica.
Il Ministry of Industry and Information Technology ha deciso di accelerare l’applicazione della robotica nei seguenti settori: manifattura, agricoltura, logistica, energia, sanità, educazione e servizi per gli anziani. Questo piano peraltro era già stato elaborato nel 2021 nell’ambito del Piano quinquennale della robotica industriale.
Ancora una volta la Cina appare come un laboratorio per il futuro verso il quale gli osservatori occidentali hanno la curiosità e l’interesse a vederne l’evoluzione. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da oltre 25 anni