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Politica

Chiude Shanghai, in nome della zero-tolerance al Covid

La megalopoli da 26 milioni di abitanti, hub finanziario per la Cina, viene messa in lockdown dalle autorità per evitare il diffondersi della pandemia che finora segnala 3.450 casi di cui 50 positivi. Difficile immaginare quali potranno essere gli effetti sull'intera economia con fabbriche e porti semi chiusi


28/03/2022 13:23

di Marco Leporati*

settimanale
La polizia sbarra l'accesso ai tunnel che uniscono le opposte sponde sul fiume

“Better city, better life”: lo slogan lanciato dodici anni fa a Shanghai in occasione dell’edizione dell’Expo 2010 sta vacillando nel suo egotista disincanto. Nella terza settimana la curva dei contagi totali, asintomatici e positivi, ha avuto l’impennata nella giornata di domenica con 3450 casi di asintomatici rilevati e 50 positivi dai 90 di inizio periodo. Il totale rilevato sino ad ora a Shanghai è di 14.376 casi di asintomatici con 284 positivi.

Dopo esitazioni decisionali e azioni localistiche si è giunti ieri sera alle 19 ora locale al draconiano provvedimento di mettere in lockdown la città di Shanghai in due tempi: il fiume che la attraversa diventa anche regolatore del lockdown; da questa mattina alle cinque la Pudong New Area con i nove relativi distretti è chiusa sino al 31 marzo; dal primo aprile sino al cinque sarà il turno di Puxi, ovvero lo storico centro della città.

Nemmeno la coincidenza dello Sweeping day o la ricorrenza della Giornata dei morti, ripristinata anni orsono, in programma dal 3 al 5 aprile, è stata risparmiata. Nessuna possibilità di collegamento tra le due zone; infatti i tre ponti e i tre tunnel sono chiusi e vigilati. All’interno dell’area il traffico sia pubblico che privato non è permesso. Le autostrade sono chiuse e coloro che hanno necessità di uscire dalla città devono mostrare il risultato negativo del test PCR.

Cinque milioni e settecentomila residenti saranno sottoposti al mass test. Una delle criticità, già esplosa ieri sera, al momento della notizia di lockdown è l’approvvigionamento di prodotti alimentari avendo chiuso a Shanghai 17 centri all’ingrosso su 20. Lentamente i famosi wet market stanno spirando senza prodotti.

Sino al tardo pomeriggio di una tiepida ed annuvolata domenica, in questo stato emergenziale, molti avevano invocato il lockdown quale quello deciso uno decina di giorni fa a Shenzhen ma l’obiezione era stata che Shanghai non è Shenzhen.

Infatti Shanghai è il centro finanziario per eccellenza ed è di fatto hub di ricevimento merci dall’estero rappresentando il 40% del totale importato in parte per il fabbisogno dell’area ed in buona parte per rifornire le province cinesi. Shenzhen, invece, come tutto il Guangdong, è soprattutto un polo di esportazione ed appartenendo alla GBA (Greater Bay Area) utilizza in buona parte Hong Kong per la facilità delle procedure di importazione ed il successivo cross border.

Per questa ragione, nelle due settimane precedenti si erano intensificati i test di massa sino ad arrivare alla decisione negli scorsi giorni di utilizzare i RAT (Rapid Antigen test) nei singoli compounds abitativi con una sorta di procedura “fai da te”: distribuzione del test, compilazione del form, fotoshop del form e dell’esito del test. Qualora fosse emerso un risultato positivo (la linea sulla T invece che sulla C) avveniva l’immediata chiamata con test ospedaliero. Tutto ciò per snellire ed evitare il sovraccarico che si era venuto a creare nell’elaborazione di milioni di analisi di test giornalieri da parte delle strutture sanitarie.

Da oggi il fronte del Covid appare completamente diverso. I grandi complessi industriali, Tesla Gigafactory e Hua Hong Semiconductor controllata da SMIC, società leader cinese di microchip, hanno rallentato la produzione sospendendone alcune linee: pochi lavoratori sono rimasti all’interno della fabbrica e i rifornimenti dal porto di Yanshan stanno andando a rilento.

La formula che si vuole adottare nelle fabbriche per minimizzare la perdita di produzione è l’isolated bubble, gia sperimentata nel Guangdong; essa consiste nella promessa da parte dei lavoratori di non uscire dalla fabbrica e continuare a produrre. In questo modo possono garantire l’evasione degli ordini.

Il porto, già in difficoltà in precedenza, subirà ulteriori rallentamenti così pure l’areoporto di Pudong che ha sospeso tutti i voli passeggeri e una buona parte di quelli cargo. L’ulteriore collo di bottiglia è rapprentato dai trasporti domestici; i servizi camionistici non possono arrivare all’aereoporto o al porto come non possono effettuare le consegne nelle province cinesi viciniori.

Le autorità sperano in questo modo di contenere la diffusione del virus: sono state anche allestite strutture a Shanghai per accogliere asintomatici (due stadi riadattati e l’ex centro espositivo). Tutto fa pensare a una lunga battaglia. La domanda che ci si pone ormai è quanto durerà questa paralisi cittadina e se sarà un modello replicato in futuro.

Come racconta la storia quando nel 165 dopo Cristo si diffuse in tutto l’impero Romano una pandemia che venne poi denominata “Peste antonina” dal nome dell’allora imperatore Antonino Pio, si ebbe “un virus che si contraeva attraverso l’inalazione di goccioline espulse da una persona contagiosa e sospese nell’aria. Durante il periodo asintomatico il paziente non era contagioso ma neppure così debole da restare immobilizzato, il che significava che il virus poteva essere trasmesso lontano e velocemente” (Kyle Harper, Il destino di Roma). Il dopo non ha più rappresentato la normalità dell’impero. (riproduzione riservata)


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