Se l’ufficializzazione del GDP cinese è puntualmente arrivata con una conferma, almeno preannunciata, di un risultato sotto le stime e cioè del 5,5% sul primo semestre, mentre il secondo trimestre si è chiuso con un 6,3%, superiore solo dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, sono altri i dati che compongono il mosaico a creare incertezza sulla tenuta della seconda economia del mondo.
Nel mese di giugno la diminuzione dell’export (-12.4%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stata accompagnata da una contrazione verso il mese di maggio, che già di per sé era risultato negativo del 7,5%.
Anche l’import è calato del 6,8% anno su anno. Tutti gli altri indicatori a cascata confermano una situazione stagnante che certo non prevede per la seconda metà dell’anno una torsione importante, ma piuttosto mostra i sintomi di una possibile deflazione. Infatti sul fronte interno, con una inflazione pari allo zero, il retail è cresciuto solo del 3,1% a giugno (anno su anno) rispetto al 12,7% di maggio.
Viene allora naturale chiedersi come mai le esportazioni abbiano subito in questa parte dell’anno una contrazione significativa quando al contempo il valore di cambio del RMB è stato pari mediamente a 7,20 rispetto al dollaro USA e a 8,20 sull’euro. In accordo alle elementari leggi dell’economia, con questo cambio favorevole gli acquisti avrebbero dovuto navigare a vele spiegate in relazione al costo inferiore di listino per unità di prodotto. Invece anche il PPI (Price Industrial index) è calato nel mese di giugno del 5,4% anno su anno ed i prezzi al cancello sono sullo stesso livello del 2016.
Nonostante questa opportunità finanziaria, le transazioni commerciali con i Paesi esteri, soprattutto Europa e Stati Uniti, stentano a concretizzarsi. Si possono ricercare mille ragioni a seconda della prospettiva che si vuole offrire: se questa stagnazione dipenda da un’economia internazionale correlata a una debole domanda con timori recessivi o da una constatazione geopolitica che ne condizioni il profilo economico, o ancora dal fatto che vi siano scorte rilevanti nei depositi americani, ma dopo mesi accampare quest'ultima ragione pare surrettizio. Certamente una certa tendenza al de-risking che sta maturando negli imprenditori statunitensi, accompagnata all’utilizzo di differenti aree di sourcing quali il Messico, l’India ed il Vietnam, ha come conseguenza di staccare meno ordini a favore dei produttori cinesi.
Ma come mai l’economia cinese non riesce ad avere uno starting point che possa modificare questo quadro sinottico attuale su cui pesa ancora il retrogusto pandemico? Si tende a giustificare uno spostamento dell’asse commerciale sull’Africa e sui Paesi del Sud est asiatico. Se fosse semplicemente un’equazione non si avrebbero questi risultati. Significa invece che il minor traffico per la Cina, che detiene il 15% dell’esportazione mondiale, di beni verso Stati Uniti ed Europa, condiziona quel risultato, ovvero il GDP semestrale che era anticipatamente prevedibile e che solo alcune istituzioni finanziarie internazionali cercavano di utilizzare un velo positivo per incentivare investimenti ed acquisti.
Purtroppo la realtà è diversa e un altro dato significativo è ancora una volta la disoccupazione giovanile nella fascia 16-24 anni, incrementatasi di un punto percentuale rispetto al maggio scorso, dal 20,4% al 21,3% mentre rimane stabile la disoccupazione urbana ferma al 5,2%.
Vi è un solo comparto che gode di buona salute: il settore automotive. Le immatricolazioni del primo semestre sia di auto EV che a combustione sono state pari a 23 milioni e le proiezioni a fine dell’anno in corso sono per il raggiungimento di 40 milioni di autovetture, come ha dichiarato Fu Binfeng, executive vice president della China Association of Automobile Manufacturers.
Anche l’esportazione di EV è cresciuta nei primi sei mesi con 534.000 vetture spedite. L’esportazione ha visto nel primo trimestre (unico dato disponibile) un incremento del 37% anno su anno dei moduli solari fotovoltaici e del 66% - sempre anno su anno - delle celle fotovoltaiche. La Cina si conferma leader in queste produzioni.
Inoltre, entro la fine di luglio dovrà essere varato l’atteso piano dei sussidi per incrementare i consumi privati. Ed è emersa anche la necessità di riforme strutturali nella sanità, nell’educazione e nell’healtcare della terza età. Tutto questo, se realizzato, sarà sufficiente nella lotta contro il tempo per mantenere la posizione di seconda economia del mondo? (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da 30 anni