A distanza di cinque mesi dalle conclusioni del ventesimo congresso del Partito Comunista Cinese si è chiuso il 13 marzo scorso l’annuale appuntamento delle “due sessioni” (lianghui in cinese) che raggruppa i due incontri plenari del Parlamento cinese (Assemblea nazionale del popolo) e la Conferenza politica consultiva del popolo nel quadro delle strutture istituzionali legislative e politiche.
Infatti nello scorso ottobre era stata definita la strategia politica per il futuro del Paese e la nuova organizzazione della catena di comando con la proposta del terzo mandato per il Presidente Xi Jinping, da inserirsi nella Costituzione cinese, ed il cambio dei leaders di governo sia per il raggiungimento del sessantottesimo anno di età quale limite stabilito costituzionalmente sia per una sorta di spoil system a partire dalla nomina del Primo Ministro, Li Qiang collaboratore per un lungo periodo del Presidente e sindaco di Shanghai durante la gestione del Covid.
In ottobre era stato anche ribadito che non vi sarebbero stati cambiamenti nella gestione della pandemia almeno sino alla primavera di quest’anno ma con una economia che stava regredendo e con possibili ripercussioni sull’ordine sociale questa congerie di circostanze aveva portato alla decisione inaspettata all’inizio di dicembre di considerare il Covid come uno stato influenzale e di riaprire la mobilità modificando repentinamente lo status quo ante.
Le due sessioni di fatto hanno ratificato la nuova dirigenza ed hanno approvato le linee guida per l’anno in corso il cui portato dovrebbe rivitalizzare un’economia in sofferenza anche in virtù del contesto internazionale che vede anche in questa fredda primavera marzolina una domanda sostanzialmente debole che non causerà un effetto recessivo ma che accusa segnali di instabilità ascrivibili al conflitto russo-ucraino e dall’altro all’acuirsi di manovre finanziare e speculative la cui natura è ancora globalizzante estendendo gli effetti nelle diverse aree del mondo.
In primo luogo vanno riassunti gli obiettivi dichiarati dal Governo centrale ed approvati dalle due sessioni:
- Crescita del pil: 5% annuo
- Deficit fiscale (percentuale del Pil ): 3%
- Quota obbligazioni speciali per i governi locali: 3,8 miliardi di Rmb (circa 600 miliardi di dollari)
- CPI (inflazione): 3%
- Posti di lavoro urbani: 12 milioni
- Livello di disoccupazione urbana: 5,5%
La combinazione del raggiungimento di questi obiettivi dovrebbe essere il riscatto totale dal 2022 e parziale dei due anni precedenti. Infatti, ogni singolo numero ha una valenza e un significato tale che se non viene raggiunto influenza e penalizza gli altri.
In particolare tre sono gli obiettivi su cui riflettere: il pil che deve trovare la propria forza dal momento che nella precedente edizione del 2022 era stato stimato al 5,5% con la chiusura dell’anno invece al 3%. Il deficit fiscale al 3% del Pil con trascinamenti di costi sostenuti nello scorso anno per la gestione del Covid (con milioni di test giornalieri e gestione dei Covid Hotel) che hanno portato all’indebitamento delle province, che nel passato avevano introiti consistenti per la vendita di aree edificabili ma che per la crisi del settore immobiliare non hanno più riscosso quanto preventivato.
Anche gli investimenti privati nei primi due mesi del corrente anno sono cresciuti solo dello 0,8%. E infine l’occupazione ed i posti di lavoro: l’obiettivo è ambizioso considerando che a luglio solo dalle scuole superiori usciranno undici milioni di studenti pronti per un nuovo impiego tenendo presente che la disoccupazione giovanile tra i 16 e 24 anni a dicembre aveva raggiunto il livello del 16,7%.
Il passaggio è delicato in quanto è subordinato prevalentemente al settore dell’export. È pur vero che si vuole sviluppare, come anticipato durante l’ultimo congresso, “talenti giovani” per qualificare la produzione domestica e per ridurre la dipendenza della Cina dalle tecnologie straniere ma se le esportazioni continuano ad essere a livelli attuali diventa difficile trovare impiego.
A conferma di ciò ancora in questi giorni i noli marittimi sono a livelli minimi eccetto quelli con destinazione sud est asiatico a livello di costo comunque basso (300 dollari per teu) e al porto di Shenzhen anche in questi giorni erano depositati trecentomila container vuoti in attesa di merci mentre a Ningbo, secondo porto della Cina i containers vuoti raggiungevano i quattrocentomila pezzi.
Soprattutto nella rotta Transpacific si continua a sostenere che sono in giacenza nei magazzini americani stocks di prodotti invenduti e conseguentemente non possono essere emessi nuovi ordinativi. Ma forse qualche ragione geopolitica con risvolti di approvvigionamento in Paesi diversi contiene una minima verità.
Qualche segnale positivo si è visto nelle vendite al dettaglio che, a dispetto dei dati negativi dell’ultimo trimestre 2022, ha registrato nei primi due mesi un valore positivo di 3,5% così pure l’indice della produzione industriale, cresciuta nei primi due mesi del 2,4%.
Ci sono due aspetti sui quali si impone una ulteriore riflessione: il ruolo delle società statali (State own companies) sempre più rafforzato anche nel contesto internazionale, in special modo nei Belt and Road project, e un emergente interesse da parte dei giovani alla “iron bowl of rice” pubblica, ovvero la ciotola di riso sinonimo del posto fisso, nonostante che sia stato varato un piano di riduzione degli organici nei diversi ministeri e nella ristrutturazione nelle società pubbliche.
Il primo traguardo di verifica saranno i risultati aggregati del primo trimestre che ci faranno comprendere se prevarrà il pessimismo della ragione o l’ottimismo della volontà. (riproduzione riservata)
*presidente di Savino del Bene Shanghai Co. Vive e lavora a Shanghai da oltre 25 anni