Nel febbraio scorso, la Camera di commercio europea in Cina (Euccc) ha condotto un sondaggio presso i propri membri per tastare il polso al contesto imprenditoriale in questo Paese. L’inchiesta aveva rivelato che metà delle aziende si dichiarava ottimista circa la prospettiva di crescita nei successivi due anni.
Da allora, la consapevolezza che il focolaio di Covid-19 non si sarebbe estinto con il protratto Capodanno cinese, ma che una pandemia diffusa avrebbe portato conseguenze economiche devastanti, ha completamente ribaltato il sentimento fiducioso sulla crescita globale espresso ad inizio anno.
Secondo il sondaggio Business Confidence Survey 2020, il 43% dei membri ritiene che fare affari in Cina sia diventato più difficile nell’ultimo anno. Mentre la Cina cavalca l’onda della ripresa economica, pur rimanendo prudente circa la comparsa di nuovi focolai COVID-19, ciò di cui il Paese necessita, ora più che mai, è un ambiente normativo stabile e prevedibile per rassicurare gli investitori stranieri.
Un tempo ottimisti circa l’andamento economico, gli associati alla Euccc si sono trovati in una realtà imprenditoriale estremamente complessa e in rapida evoluzione.
Al di là del sentimento negativo riportato dalle imprese intervistate, i risultati del Business Confidence Survey 2020 hanno rivelato che già prima del diffondersi della pandemia persistevano problemi perniciosi per le società straniere in Cina.
Sebbene il governo abbia intrapreso riforme volte a incoraggiare la partecipazione dei capitali stranieri nel mercato del paese, come l’edizione 2019 della “Lista Negativa per l'Accesso degli Investimenti Esteri” (la cosiddetta Negative List), solo il 10% dei membri ha segnalato una significativa apertura dell’economia rispetto all’anno precedente.
In totale, il 45% dei membri ha riportato barriere d’accesso al mercato, di cui due terzi sono barriere indirette come problemi con licenze o certificazioni. Queste restrizioni hanno un caro prezzo: se alle imprese europee fosse garantito un maggiore accesso al mercato cinese, ben un quarto dei membri partecipanti al sondaggio aumenterebbe i propri investimenti nel Paese.
Nonostante tale determinazione imprenditoriale nel voler contribuire all’economia cinese, soltanto un 50% dei membri ritiene che le aziende con investimenti stranieri siano trattate alla pari delle società nazionali.
Le prospettive sono cupe soprattutto considerando che ben un terzo degli stessi membri non prevede miglioramenti significativi verso condizioni di parità per le imprese straniere in Cina entro i prossimi dieci anni.
Alla radice di questa disparità di trattamento vi è una biforcazione dell’economia del Paese, “un’economia, due sistemi”: mentre alcune industrie hanno goduto di un regime normativo migliorato e di maggiori livelli di apertura economica, altri settori sono invece dominati (o addirittura occupati esclusivamente) da imprese statali.
Il 48% dei membri ritiene infatti che il settore statale otterrà maggiori opportunità di crescita nei prossimi due anni, a scapito di quello privato, un dato in aumento di sette punti percentuali rispetto all’anno precedente. Alla luce del recente piano d’azione del governo che loda le imprese statali come un “pilastro chiave” dell’economia cinese, tale sentimento tra i partecipanti al sondaggio appare particolarmente accurato.
Ciononostante, migliorare la realtà imprenditoriale per le società europee in Cina rimane di estrema importanza per far fronte alle ripercussioni della pandemia. Anche sconfitto il virus, le imprese estere saranno vulnerabili a shock esterni e a disruptions lungo le filiere produttive globali dagli effetti prolungati.
Le restrizioni di frontiera imposte dalla Cina per contenere la propagazione del Covid-19 ne sono un esempio: con l’ordinanza di fine di marzo volta a sospendere l’ingresso nella Repubblica Popolare Cinese alla maggior parte dei cittadini stranieri in possesso di visti e residenti permanenti, leaders aziendali ed esperti tecnici sono bloccati all’estero nell’impossibilità di poter tornare nel Paese.
Benché le autorità abbiano aperto alcuni canali di ingresso per il personale ritenuto essenziale, molte aziende associate dichiarano di non essere in grado di ottenere le lettere di invito necessarie per il rientro dei propri dipendenti dall’ufficio distrettuale degli affari esteri.
Secondo un sondaggio condotto a luglio dai membri della Camera Europea a Shanghai, oltre la metà degli intervistati ha ancora personale straniero bloccato fuori Cina e più di un quarto di essi prevede un netto calo delle entrate dovuto alla mancanza di personale chiave.
Molte imprese hanno visto le loro domande di rientro in Cina respinte o ritardate a tempo indeterminato e riferiscono che i requisiti burocratici per l’ottenimento di un visto sono troppo elevati. Requisiti, questi, particolarmente onerosi per certi gruppi di imprese: le scuole internazionali, i cui programmi e accreditamenti consentono il trasferimento a Shanghai di talenti stranieri con le rispettive famiglie, sono soggette oggi a gravi carenze di personale internazionale, che alcuni intervistati attribuiscono alla chiusura della frontiera imposta dal governo; le PMI, che per dimensione e liquidità non possono riallocare le risorse con la stessa facilità delle controparti più grandi, rischiano un maggiore impatto negativo quando ad essere bloccato all’estero è il rappresentante legale dell’impresa.
Inoltre, aziende nei servizi professionali difficilmente rientrano nella definizione di settore “essenziale” utilizzata dalle autorità per determinare l’idoneità delle domande presentate per il ritorno in Cina degli impiegati stranieri. Secondo un’azienda intervistata, alcune autorità hanno affermato a chiare lettere che i consulenti aziendali non costituiscono una priorità.
In questo scenario complicato, la Cina dovrebbe cercare di rassicurare le imprese straniere, le quali, nonostante il blocco della frontiera, rimangono ancora desiderose di contribuire alla ripresa economica della Paese. Recenti statistiche ufficiali indicano che l’economia cinese è cresciuta del 3,2 per cento nel secondo trimestre su base annua.
Se accurati, questi dati indicano che la Cina avrebbe già intrapreso il percorso verso la ripresa. Il potenziale di crescita, tuttavia, rimarrà limitato se barriere di mercato e businessmen bloccati all’estero continueranno ad impedire alle imprese internazionali in Cina di partecipare alla ripresa delle attività produttive.
A fine di giugno, la rimozione di sette articoli dalla Negative List e dal corrispettivo elenco Free Trade Zone sancita dal Consiglio di Stato costituisce un passo avanti nella riforma del mercato ed un maggior accesso a determinati settori industriali in precedenza ristretti agli investitori stranieri.
Si nota un certo allentamento delle restrizioni in settori quali il combustibile nucleare, l’esplorazione di gas e petrolio, e la rete di distribuzione (condotte alimentatrici); benché tale apertura sia ben accetta, non ha che un valore marginale, essendo di pertinenza solo per pochi membri della Camera europea.
Allo stesso modo, la revoca dei limiti di capitale proprio nei servizi finanziari, come la gestione patrimoniale, i futures e le assicurazioni, è uno sviluppo positivo. Ciononostante, le difficoltà operative e gli impedimenti normativi che per anni hanno limitato la crescita del mercato del paese fanno si che le istituzioni finanziarie europee potrebbero avere considerevoli difficoltà a trarre vantaggio da tali miglioramenti. In breve, questa riforma arriva troppo tardi ed è troppo modesta per creare autentiche condizioni di parità.
La versione 2020 della Negative List include anche un nuovo meccanismo che permette al Consiglio di Stato di scavalcare l’elenco negativo stesso per consentire a determinati investitori stranieri di operare in Cina previa approvazione.
Sebbene questo meccanismo possa costituire un mezzo efficace per mettere alla prova l’effettiva apertura del mercato cinese agli investimenti stranieri, al contempo esso solleva preoccupazioni che le approvazioni dei regolatori vengano basate su considerazioni politiche di arbitraria natura.
* Vicepresidente nazionale e presidente della sezione di Shanghai della Camera di commercio dell’Unione Europea in Cina (EUCCC).