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Politica

Cina, l'Assemblea del Popolo alle prese con il problema migranti

Al Plenum che si apre domani a Pechino, una questione centrale per il rilancio dello sviluppo è la riforma agraria che costituisce il perno della crescita degli ultimi quarant’anni. Perché chi ha lasciato le campagne per fabbriche o uffici, oggi si trova più esposto alla crisi. Sono almeno 290 milioni di cinesi... di Marco Leporati*


21/05/2020 17:52

di Marco Leporati*

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I delegati all'assemblea del Popolo a Pechino nel 2019

Domani 22 maggio si apre ufficialmente a Pechino l’Assemblea del Popolo o meglio il National People’s Congress con due mesi di ritardo a causa del Covid 19 rispetto alla consueta data di marzo.

L’asse portante dell’Assemblea riguarderà l’approvazione del 14° Piano quinquennale ma altri temi di vitale importanza verranno trattati dalle Due sessioni composte da oltre 4 mila delegati provenienti da tutte le province cinesi.

L'assemblea avrà come fulcro la critica situazione che si è venuta a creare a seguito della pandemia e che ha comportato la messa in discussione delle regole sociali ed economiche.

Una breve anticipazione dei temi concerne il fronte interno, dove le risorse nazionali sono in declino in relazione al quadro internazionale  con una riduzione della domanda di beni mentre rimangono invariati gli obiettivi di espansione attraverso strumenti tecnologici e militari in special modo nell’ambìto mare della Cina meridionale, area di confronto con la potenza americana, e l’ambizione di creare una Silk Road digitale.

Per contrastare possibili tensioni nelle aree rurali verrà ripresa e ridiscussa la riforma agraria che aveva preso forma nel 1950 e poi, modificata nel 1980, aveva costituito il fondamento dello sviluppo cinese degli ultimi quarant’anni.

Ed è proprio dagli anni 50 che occorre partire per comprenderne meglio la necessità presente di aggiornare i capisaldi della questione fondiaria. Infatti, la legge di riforma agraria, emanata nel 1950, un anno dopo la costituzione della Repubblica Popolare e della sua Costituzione, ha avuto piena attuazione nel 1952 con il risultato che il 43% delle terre coltivate in Cina era stato confiscato e ridistribuito al 60% della popolazione rurale. Questa situazione, accompagnata da manifestazioni di protesta da parte dei proprietari aveva portato a un incremento della produzione agricola di circa il 12 %.

Nei secoli precedenti, ed anche nel periodo antecedente alla fondazione della Repubblica Popolare, i terreni agricoli appartenevano a latifondisti e proprietari terrieri che li gestivano secondo il concetto medioevale incentrato sul rapporto di subordinazione tra nobile e contadino libero o servo della gleba.

Con il passare degli anni anni e sino al 1956 che coincideva con il Primo Piano Quinquennale, venne collettivizzata completamente l’agricoltura attraverso una forma cooperativa mutuata dall’Unione Sovietica che in quegli anni era il principale alleato della Cina.

Si giunse quindi alla fine degli anni 70, del secolo scorso, quando la maggior parte del territorio era di proprietà pubblica e veniva gestito in modo collettivo con i tre livelli di proprietà (governo centrale, municipalità e squadre di produzione) lasciando però alla famiglia una porzione limitata di terreno, sempre di appartenenza della collettività,  e creando incentivi individuali definiti nel “sistema di responsabilità contrattuale domestica”.

Con la riforma di Deng Xiaoping venne formulata una nuova Legge sull’Amministrazione della Terra che stabilì regole apparentemente nuove per quanto riguardava l’affitto a persone esterne alla collettività che comunque deteneva ancora la gestione e la proprietà della terra stessa.

Un passaggio importante derivò dal fatto che contemporaneamente lo Stato e le Municipalità entrarono in gioco pesantemente nella gestione del territorio e, come accade nel momento di boom economico, iniziarono i conflitti burocratico/politico per attribuire il diritto di cambio di destinazione da uso agricolo ad industriale e/o residenziale.

È in quello stesso periodo che compare la prima  riforma delle società statali, ormai decotte, con la promulgazione del  Provisional Regulation on Expending the Autonomy of Enterprises, nel maggio del 1984.

In questo incrociarsi di accadimenti avvenne che moltissimi dirigenti politici e militari delle società statali, alla luce delle dismissioni delle stesse, crearono proprie società o ne acquisirono per poco prezzo rami di azienda  e divennero imprenditori, dando vita, fra le altre a Huawei, Sunning e Haier.

Queste nuove società necessitavano di terreno edificabile e proprio, in questo caso, accordi più o meno chiari con le Municipalità permisero la nascita dell’impresa privata in Cina, poi sviluppatasi sino ai giorni nostri.

Questo è un passaggio molto importante in quanto è la base della nascita della prima urbanizzazione con la classe contadina che si fa migrante ed inizia i primi spostamenti verso le aree industrializzate, tra cui Shenzhen, città di pescatori, sdoganata da Deng Xiaoping e Canton, nella provincia del Guangdong  .

Nascono anche i primi fenomeni di inquinamento delle acque, del suolo e dell’aria. Il terreno diventa merce di scambio e la ruralità passa in secondo piano.

Va tenuto presente che, secondo una statistica ufficiale, nel 2004, dopo l’ultima riforma della Costituzione e anche grazie all’introduzione nel 1990 della procedura delle aste per assegnazione del suolo collettivo, 70 milioni di contadini avevano perso la terra e 200 mila ettari erano stati espropriati e riconvertiti per edilizia industriale e residenziale.

Solo nel 2007 venne approvata la legge sulla proprietà privata ma oggi, a distanza di solo tredici anni, lo scenario si è profondamente modificato.

La “terra“ secondo la definizione di Fenoglio nella Malora, diventa un presupposto importante per la popolazione che ancora vive di questa attività o che, costretta da un fermo economico, dovrà ritornare alle origini. Alla fine del 2018 vi erano 6,7 milioni di ettari a uso agricolo mentre 19 milioni erano stati destinati ad altro.

Ad oggi, il 40% della popolazione cinese vive in campagna ed il reddito procapite, escludendo quanto possono rappresentare le rimesse dei lavoratori migranti, alla fine dello scorso valeva 114 dollari mensili. In aggiunta, va precisato che questi contadini non hanno ancora il diritto di proprietà ma solo il diritto d’uso (usufrutto) rinnovabile nell’arco dei trent’anni ancorchè abbiano edificato un propria abitazione.

Incrociando ancora qualche dato troviamo il riscontro che 291 milioni di residenti rurali sono migranti ma senza il diritto di registrazione della residenza tramite hukou e senza diritto di vendere il terreno avuto in concessione.

Questo dualismo negativo che poteva generare un corrispettivo economico bilanciato dalle rimesse oggi si scontra con produzione e salari ridotti. È per questa ragione che diventa imprescindibile e non procrastinabile una nuova riforma agraria di cui vedremo la promulgazione entro la prossima settimana.

Questo tema che insieme ad altri ha modificato un sistema di vita è ben descritto nel libro di Leslie Chang, Factory girls, dal titolo italiano Operaie, pubblicato da Adelphi.

Il libro del 2008 è di una lucida attualità nel descrivere le contraddizioni della popolazione migrante che è  il fondamento del successo dello sviluppo cinese ma che oggi è profondamente in crisi.

“Oggi (2007) la Cina ha 130 milioni di lavoratori migranti. Insieme rappresentano la più grande migrazione nella storia dell’umanità, tre volte il numero delle persone che sono emigrate in America dall’Europa nell’arco di un secolo ... Nel 2003 sui muri dei villaggi appariva lo slogan che incitava a migrare: andate a lavorare fuori, tornate a casa a sviluppare. Il lavoro scorre fuori, il danaro scorre indietro” (pag 13 edizione inglese).

*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni


 

 


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