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Politica

Corsa al gas in Cina, torna anche il carbone per battere il gelo

Le banchine gelate nei porti cinesi rallentano il flusso di Lng importato, così per non fare mancare energia alle fabbriche e alle città, torna a salire l'import di carbone da tutto il mondo. Le grandi imprese pubbliche promettono la carbon neutrality fra qualche anno, ma nonostante l'apporto del gas russo pompato via Siberia, l'obiettivo appare molto lontano


19/01/2021 18:13

di Marco Leporati*

settimanale
Sculture e palazzi di ghiaccio a Harbin, provincia di Heilongjiang, confinante con la Siberia

Era stato preannunciato a fine novembre che questo inizio anno in Cina, nella penisola coreana e in Giappone si sarebbe avuto uno degli inverni più freddi. Le previsioni non sono state smentite e copiose nevicate con forti abbassamenti della temperatura hanno iniziato a presentarsi sin dal dicembre scorsi: a Pechino è stata registrata la temperatura più bassa dal 1966 e a Seul dal 1986. In Giappone poi si è avute il record di nevicate.

Persino nell’isola di Hainan, circoscritta nell’area tropicale, la temperatura è precipitata nella scorsa settimana a 5° gradi mentre in tutto il Sud della Cina, il territorio di Hong Kong incluso, la Greater Bay Area e la provincia dello Yunnan si è raggiunta la soglia minima dello zero gradi.

Se la temporaneità del fenomeno in queste regioni non ha reso necessario l’approvvigionamento di fonti energetiche per il riscaldamento visto che non ci sono impianti ma solo l’uso dell’aria condizionata commutata a temperature tiepide per quel tanto che basta, nei restanti territori nordoccidentali la criticità è in crescita giornaliera.

In questa cornice metereologica si è avuta un’impennata della domanda di materie prime per alimentare le fonti energetiche ed il gas naturale ne dovrebbe diventare una componente essenziale.

Infatti, nella corsa affannosa per dominare il tempo, non bisogna dimenticare quando la Cina nel 2018 aveva lanciato la “ Via della seta “ da Dalian a Rotterdam tra i ghiacci dell’Artico con la prima nave rompighiaccio “ Dragone delle nevi” (costruita da China Ocean Shipping Company a Shanghai) con la duplice finalità di ridurre i tempi di percorrenza verso l’Europa e di partecipare contestualmente al progetto di un gasdotto per la propria fornitura energetica con la stazione di partenza dalla penisola di Yamal, molto vicina al territorio della Finlandia ma di appartenenza territoriale russa, centro per la fornitura di gas per oriente ed occidente.

Su questo progetto, denominato “Power of Siberia”, la Cina aveva investito 12 miliardi di dollari attraverso Sinopec in alleanza con Gazprom. Inoltre la Cina si era impegnata nel progetto Artic LNG 2, ideato dal maggior produttore indipendente russo Novatek, con le partecipazioni di CNOCC e CNPC per una quota del 10% ciascuna. L'obiettivo di Pechino era di far diventare la Cina capofila mondiale per l’importazione di gas naturale, grazie a flussi di import in crescita di circa il 20% l'anno.

La terza finalità, di natura geopolitica, era quella di creare una contropartita, con la compiacenza della Russia, nei territori artici nei confronti degli Stati Uniti con i quali erano iniziati i primi strali della Trade War. Infatti, le prime esplorazioni e spedizioni a scopi scientifici erano iniziate da parte della Cina nell’Artico nel 1990 per poi convertirsi in presenza costante sul territorio.

La fornitura di gas da Yamal è iniziata in via sperimentale nel dicembre 2019 e nel settembre del 2020, nonostante avesse subito dei rallentamenti a causa di programmi di manutenzione nei diversi scambiatori del gasdotto, ha convogliato 5 miliardi di metri cubi, pari al 7,6% del fabbisogno mentre la produzione domestica è cresciuta del 7,2% rispetto all’anno precedente. Le previsioni del progetto di fornitura “Power of Siberia” parlano di 38 miliardi di metri cubi anno di dispacciamento in direzione della Cina.

Nonostante questi sforzi, la maggior parte dei rifornimenti di gas alla Cina arriva via mare, per circa il 15% del totale, il doppio del contributo dei gasdotti transnazionali, con le navi gasiere che trasportano LNG (Liquid natural gas). Il fatto è che a causa del ghiaccio formatosi nelle banchine dei porti per il grande freddo, i ritardi ed i costi aggiuntivi stanno creando problemi nell’approvvigionamento.

A Tianjin, uno dei porti più importanti in Cina per lo scarico e lo stoccaggio di gas liquido, la difficoltà maggiore è quella di creare un corridoio per l’attracco delle navi non potendosi utilizzare acqua calda per sciogliere il ghiaccio ed il personale in carico necessita di venti ore di lavoro solo per garantire le operazioni di attracco. Questa situazione durerà probabilmente alcune settimane

Ma il gas liquido, arrivando via nave, soprattutto dagli Stati Uniti (era una delle commodities insieme alla soia che non aveva risentito troppo se non per i dazi della Trade war) trova un ulteriore ostacolo nella congestione del traffico marittimo nel canale di Panama causato dal numero di navi cariche di containers in esportazione dalla Cina.

Si torna così all’altra fonte energetica: il carbone, molto disponibile in Cina ma importato anche fino a qualche mese fa dall’Australia ed ora sospeso per l’altra Trade war in essere con questo Paese.

Erano stati fatti tentativi via treno e camion dalla Mongolia con un insuccesso determinato sia dalla qualità del carbone sia dagli alti costi di trasporto per fare arrivare il minerale anche nelle province meridionali. E’ iniziata quindi l’importazione dalla Malesia e dall’Indonesia; un tentativo viene dalla Colombia e un altro dal Sud Africa anche se non è un prodotto perfetto perchè contiene residui di fluorina.

Il migliore rimane sempre quello australiano anche considerando i tempi di navigazione più brevi rispetto ad altre origini. Va sgombrato ogni dubbio sul fatto che la Cina comunque rimane il maggior produttore al mondo di carbone ma il doppio uso di cui necessita ( produzione di energia e riscaldamento ma soprattutto alimentazione degli impianti siderurgici) fa sì che la porzione importata rivesta la complementarietà produttiva, tant’è che nel mercato dei futures a Zhengzhou, il carbone è stato quotato qualche giorno fa a 140 dollari per tonnellata. In  Cina dovrebbero essere ancora funzionanti 1032 centrali di produzione alimentate a carbone, secondo dati del 2019.

A questo riguardo si affaccia all’orizzonte un dilemma: recentemente le SOEs (State-owned enterprises) hanno dichiarato di voler perseguire la via del “carbon neutrality” ovvero l’abbondono graduale dell’uso del carbone. In particolare come ha sostenuto Li Ziyue, analista di Bloomberg NEF: “Il gas naturale giocherà un importante ruolo nel processo di decarbonizzazione di CNOOC il cui annuncio aiuterà a preparare la stessa CNOOC ad un futuro con zero emissioni. Tutto ciò dovrebbe essere in linea con il 14° piano quinquennale (2021-2025).

Difficile che nei prossimi anni questa situazione possa subire profonde modifiche, nonostante lo sforzo imponente di integrare la produzione di energia con fonti rinnovabili e energia nucleare. La componente "sporca" forse potrà essere ridotta ma in questo processo circolare le due variabili, le materie prime inclusi i prodotti energetici ed il consumo, sono difficilmente armonizzabili. (riproduzione riservata)

 


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