Centoventi anni orsono e più precisamente il 7 settembre del 1901 a Pechino veniva sottoscritto il “ Protocollo finale di transazione per i tumulti del 1900”. I tumulti si riferivano alla ribellione dei Boxer e le Nazioni che parteciparono al tavolo del negoziato erano la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone, la Gran Bretagna, la Francia seguite da Olanda, Belgio e persino dalla nostra Italia cioè da quelle che avevano organizzato la missione militare internazionale, chiamata l’Alleanza delle otto Nazioni, che il 14 agosto del 1900 era entrata ad occupare Pechino ponendo fine alla ribellione dei Boxer dopo un assedio di 55 giorni.
La ribellione era scoppiata nella provincia dello Shandong, attorno alla città di Qingdao, allora protettorato tedesco, da parte di un gruppo o meglio di una affiliazione settaria, che aveva visto nello straniero “ il diavolo” che su di un territorio debole e disunito voleva impiantare la propria organizzazione utilizzando le nuove invenzioni del XIX secolo come la ferrovia ed era dilagata nella parte nord est della Cina con drammatiche vicende di torture,morti e attentati,in special modo nei confronti di missionari.
Il Protocollo, siglato l’anno successivo alla presenza dell’Imperatrice Cixi, segnò l’inizio dell’imminente caduta della Dinastia Qing che aveva regnato dal 1644 e che si concluse con la deposizione dell’ultimo imperatore e la nascita della Prima Repubblica nel 1911 ad opera di un lungimirante protagonista della storia cinese: Sun Yatsen.
Nel testo del Protocollo si legge che la Cina fu considerata responsabile di quanto accaduto non avendo intrapreso azioni di controllo e punitive nei confronti dei Boxer. Alla base, in realtà la ragion di stato era prevalsa con la speranza di una ricostituita identità nazionale.
Il conseguente pagamento dei risarcimento dei danni continuò per 39 anni, anni che erano stati caratterizzati da tanti avvenimenti di belligeranza sino alla Lunga marcia e alla costituzione della nuova Repubblica Popolare cinese.
Veniamo all’ hic et nunc dei giorni nostri: quattro mesi orsono scoppiò l’epidemia a Wuhan, poi definita Covid 19, che travalicò i confini cinesi e si espanse in tutto il mondo con le conseguenze che ancora stiamo subendo. Come centodiciannove anni fa, alcuni Paesi occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti, hanno paventato la richiesta nei confronti della Cina per i pretesi danni subiti ma la Cina ha fermamente ribadito che con gli Stati Uniti non esiste un trattato od un accordo concernente gli incidenti causati alla salute pubblica.
Se un secolo fa il danno riguardava sostanzialmente quanto era stato cagionato nell’ambito del territorio cinese in termini di persone e infrastrutture, oggi invece in questo mondo globalizzato si disquisisce degli effetti che si stanno ripercuotendo come una tsunami ad onda lunga sulle economie mondiali nonchè anche nei confronti delle centinaia di migliaia di persone contagiate e soprattutto decedute; altri interessi sono prevalenti rispetto ai territori di conquista se si fa eccezione per alcune aree strategiche militari nel Mare meridionale della Cina.
Non esiste una Corte Suprema super partes con facoltà di decisione su eventuali richieste di “giustizia e punizioni” e le commissioni del WTO sono agonizzanti. Sono tutte semplicemente delle tesi volte a creare i presupposti per una nuova visione geopolitica. Sta perfino prendendo piede un’ipotesi di cancellazione di una parte del debito sovrano che gli Stati Uniti hanno contratto con la Cina per lo sbilanciamento commerciale che ha poi originato due anni fa la Trade war”. Per questa ragione venerdi scorso sono riprese le relazioni diplomatiche tra i due Paesi per tentare di creare “ le condizioni favorevoli per implementare la fase uno dell’accordo commerciale” in fieri a gennaio 2020, con la promessa da parte della Cina dell’acquisto di 200 milioni di dollari di prodotti americani.Ma da parte cinese è stato comunicato che sembrerebbe difficile essere all’altezza dei propri principi per questa parte dell’accordo e questa dichiarazione potrebbe contribuire a danneggiare maggiormente le relazioni future già fortemente incrinatesi.
Per queste differenti ragioni, i rapporti tra potenze sembravano a quel tempo, con un’analisi ex post, più fluidi dell’irrigidimento attuale. Infatti, gli Stati Uniti avevano rinunciato alla riscossione di quanto spettante avendo preso la decisione di destinare pari importo alla costruzione a Pechino della università di Qinghua, prestigiosa ancora ai giorni nostri e dopo questa condanna, la Cina era stata riammessa a far parte della Società delle nazioni ed aveva ottenuto un incremento delle tariffe doganali sul commercio con l’estero per facilitarne il pagamento.
Questi risultati, d’altro canto, avevano smosso le acque stagnanti dell’economia cinese e, nell’ultimo decennio, prima del canto del cigno, l’impero aveva rinvigorito la struttura economico-organizzativa conseguendo risultati economici inaspettati.
Il modello comparativo tra le due epoche a questo punto pone in evidenza un differenziale che è il Covid 19 che nella sua forza di magnitudo di dispersione ha sospeso il mondo.
Le reazioni sono quindi frutto di questo nuovo scenario mai avvenuto nella storia moderna e dal quale non si possono prevedere sviluppi futuri certi. L’ignoto è tra noi e non in una differente galassia distante milione di anni luce.
* managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni