Manca soltanto il via libera della commissione Esteri del Senato all'accordo tra Italia e Cina per evitare le doppie imposizioni. L'intesa siglata a maggio 2019 ha ricevuto parere positivo dalle commissioni Affari Costituzionali e Finanze, non senza rimostranze da parte della Lega, che ha votato contro e punta a rinviare l'approvazione. I pareri sono arrivati senza grosse condizioni allo schema del protocollo.
L'accordo che porta la firma dell'allora ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria e per la Cina dal ministro degli Esteri Wang Yi, aggiorna quello in vigore dal 1990 in materia di dividendi, interessi, royalties e capital gain.
Per i dividendi è prevista una riduzione dell’aliquota convenzionale di prelievo alla fonte, che passa dal 10% al 5%, nel caso di partecipazioni dirette di almeno il 25% del capitale della società che paga i dividendi, detenute per un periodo di almeno 365 giorni. Della riduzione, spiega il Mef, “potranno pertanto beneficiare le imprese italiane che percepiscono dividendi di fonte cinese. Inoltre, la riduzione dell’aliquota relativa alle partecipazioni qualificate potrà incoraggiare la capitalizzazione delle imprese cinesi in Italia, attraverso investimenti in equity. Per gli altri dividendi, si applica l’aliquota del 10%
Sugli interessi la misura della ritenuta applicabile nello Stato della fonte non potrà eccedere un’aliquota del 10% dell'ammontare lordo degli interessi; è prevista un'aliquota ridotta dell’8% sugli interessi pagati a istituti finanziari, in relazione a prestiti con durata almeno triennale mirati a finanziare progetti d’investimento.
In materia di royalties l’aliquota generale applicabile nello Stato della fonte non potrà superare il 10% sui canoni corrisposti per l’uso, o la concessione in uso, di un diritto d’autore. Infine viene confermato il trattamento delle plusvalenze derivanti dall’alienazione di partecipazioni qualificate oltre il 25%. Il nuovo accordo prevede tuttavia la tassazione di tali plusvalenze se detenute con un livello di partecipazione al di sopra di tale soglia in qualsiasi momento nei 12 mesi precedenti l’alienazione.
Perlatro, come sottolineato dall'ufficio bilancio del Senato, proprio per le aliquote di favore sugli interessi, l'intesa potrebbe invogliare gli investitori cinesi ad aquistare debito pubblico italiano. Tecnici di Palazzo Madama fanno però un passo avanti. Le tipologie di interessi prese in considerazione potrebbero infatti riguardare in gran parte "quelli derivati da finanziamento del debito pubblico". Sia italiano sia cinese, ma "è verosimile supporre", aggiungono che gli effetti finanziari riguarderanno più gli interessi sui nostri Btp. (riproduzione riservata)