Tra gli accordi firmati nel quadro del memorandung of undestanding del marzo 2019, tra Italia e Cina, che segnava l'adesione dell'Italia alla Via della Seta cinese c'era stao un impegno sottoscritto tra Suning, uno dei maggiori retailer cinesi, nonchè proprietario dell'Inter, e l'Ice per la diffusione dei prodotti del Made in Italy nel Dragone.
Suning successivamente aveva acquisito la maggioranza azionaria di tutta la rete retail di Carrefour in Cina che contava circa trecento punti vendita, rafforzando considerevolmente la sua quota di mercato. A quel punto tutti pensavano che si potesse venire a creare un’opportunità di sviluppo e di visibilità eccezionale per i prodotti del made in Italy nel panorama variegato dei consumatori cinesi.
Ho avuto invece la riprova che la percentuale di referenze a marchio italiano sugli scaffali di Carrefour si è ridotta al minimo; trend che già si era manifestato nel periodo preCovid.
Tra gli scaffali di un dei maggiori punti vendita Carrefour di Shanghai l'elenco della presenza di marchi italiani offre lo spunto per una riflessione sul futuro del agroalimentare. Tra le Acque Minerali comparivano solo Lauretana e San Benedetto, a un prezzo di vendita doppio a quello che si può reperire in normali canali.
Nelle categorie merceologiche dei confezionato a lunga conservazione (salse di pomodoro,pasta, sottaceti, olio, biscotti) ne rimangono solo alcune marche. Di formaggi rimane il grana padano e sono state tolte le buste di prosciutto importate (unica referenza con la mortadella autorizzata all’importazione in questo Paese).
E’ pur vero che paradossalmente sono diminuiti anche in modo consistente i prodotti francesi. Ma lo spettacolo più deprimente è quello che viene offerto osservando gli scaffali del reparto vini.
Già ai tempi della proprietà francese la presenza italiana era ridotta a qualche prosecco, un tentativo di bianchi e una maggior selezione di rossi. Oggi i nostri vini sono praticamente scomparsi ma anche quelli francesi che la facevano da padrone non sono più presenti come prima; addirittura per i bianchi e rosè sono in vendita annate di oltre cinque anni, alcune scontate, altre, per far valere il principio inveterato in Cina del “ più è vecchio e più acquista valore”, sono offerte a prezzi fuori mercato.
Mi sono allora deciso ad acquistare una bottiglia di un vino bianco cinese sulla cui etichetta, graficamente attrattiva, veniva scritto, Italian riesling , annata 2018.
Prima di degustarlo, ho notato un grado alcolico elevato, anomalo per il riesling, la cui gradazione media svolta di 8.5/ 9% salvo eccezioni che possono raggiungere i 12% per un diverso trattamento delle uve. Pensando al terroir produttivo (l’area nord occidentale dello Xinjiang) ho sorvolato su questo dettaglio.
Purtroppo questo gradiente alcolico è derivato dalla percentuale di zucchero cui viene addizionato il vino non essendoci ferrei disciplinari come in Italia ed in parte in Francia che limitino questo effetto. La conseguenza, come per i vini cileni o australiani è che, dopo averli bevuti, nasce un certo obnubilamento mentale. Questa è una tematica importante che condiziona i costi di produzione ed i prezzi di vendita e di cui non si è mai discusso a sufficienza.
Siamo pertanto ad un bivio: in un articolo precedente avevo registrato la diminuzione delle esportazioni italiane di vino in Cina dovute al Covid ma qui si va oltre. Non sono certo un sostenitore della teoria economica micro-macro secondo la quale un fenomeno sviluppatosi in un perimetro identificato debba essere considerato quale regola generale. Forse il futuro sarà solo rappresentato dalle vendite online senza l’utilizzazione di spazi fisici e quindi potrebbe essere la nuova strada di Suning anche in previsione di nuovi accordi con Ice Cina.
Di certo, settimanalmente sorgono contraddizioni rispetto al modo di perseguire una strategia ma non è scontato a distanza di qualche mese che il rafforzamento interno significhi in pratica bilanciare l’autosufficienza in funzione delle aziende produttrici cinesi.
Il concetto che viene formalizzato in questi giorni della “dual circulation” ha una serie di incognite nel proprio percorso, in quanto sarà necessario garantire un livello di consumo domestico che possa diventare il traino del nuovo modello.Per esempio nella produzione di forni a microonde possiamo rilevare che nel 2019 su 85 milioni di pezzi prodotti, il 60% è stato esportato. Come colmare questo differenza per consumare e garantire i posti di lavoro? Qualche analista inizia ad utilizzare un termine che diventa ostico al nostro comune modo di pensare: autarchia.
E per il nostro export dovremo solo affidarci ad Alibaba che, come agente monomandatario, si presterà a consentire il buon esito delle vendite, essendoci in futuro meno canali di importatori e distributori. Sono scenari sui quali occorre ragionare anche in virtù di quello che la possibile deglobalizzazione potrebbe provocare.
Michael Spence, premio Nobel per l’Economia, in una intervista dell’ottobre 2018, quindi in tempi non sospetti, avvertiva che “.. il mondo andava riconfigurato, c’era bisogno di fare dei passi indietro perchè eravamo su un sentiero che per la gente non funzionava..” e con il suo ottimismo della volontà continua “stiamo riportando in equilibrio un grande sistema. Non perchè qualcuno abbia necessariamente commesso degli errori imperdonabili, ma perchè nel frattempo abbiamo imparato un sacco di cose”.
La strategia della ”dual circulation” è stata definita una sorta di “decoupling domestico” ma non è certamente facile immaginare una conversione della produzione orientata solo al mercato domestico quando le aziende, soprattutto di natura familiare, potevano beneficiare del tax refound, ovvero del rimborso dell’aliquota Iva al momento della cessione per esportazione. Questo differenziale come verrà colmato in termini di determinazione dei prezzi di vendita sul mercato interno?
Si stanno infatti susseguendo molti pareri ed interventi per cercare di dare forma a questa nuova strategia economica. Peng Wensheng, capo economista di China International Capital Corporation ha sostenuto che:”La priorità di questa strategia ha mostrato l’importanza di una strutturale reforma della supply chain domestica con la conseguente competitività e l’innalzamento del livello di apertura con l’esterno”.
In questo fase elaborativa forse il risultato dell’ export di luglio (+7,2% ) anno su anno ed uno 0,1% dei primi quattro mesi comunque raffredda le nuove teorie e rasserena gli animi anche se tutto l’establishment è consapevole della precarietà del futuro.
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni