MENU
Politica

Gli Usa ostacolano gli investimenti cinesi in Europa e Italia

L'analisi a Class Cnbc di Marco Marazzi, avvocato di Baler&Makenzie, presidente di Easternational. Il Dragone è scivolato nel 2018 al quinto posto tra i principali investitori esteri per volume degli operazioni. Per le aziende italiane possibili sinergie con gli investimenti cinesi in Africa


21/02/2019 15:39

di Silvana Sempreviva - Class Editori

marazzi

Parziale ritirata cinese dagli investimenti esteri in Europa: il Dragone è scivolato nel 2018 al quinto posto tra i principali investitori esteri per volume degli operazioni, anche se l’arretramento è dovuto, in gran prte, ai problemi di Cefc China, colosso dell’energia e dei servizi finanziari, che nel 2017 aveva speso 9 miliardi di dollari per una quota del 14% del gigante russo Rosneft. Il gruppo, all’epoca guidato da Ye Jianming, poi coinvolto in accuse di corruzione in Cina, è stato dal 2015 uno dei principali attori del mercato in Europa centrale, e in particolare modo nella Repubblica Ceca.

È un primo segnale di ritirata del Dragone dall'Europa, che contraddirebbe la spinta della Belt&Road Initiative, e di un cambiamento di strategia? «Il calo, innegabile, dipende per almeno il 70% dagli Stati Uniti, dove il CFIUS, Committee on Foreign Investment in the United States, che si occupa di vagliare gli investimenti stranieri dal punto di vista della sicurezza nazionale, ha ampliato i propri poteri in maniera significativa per valutare anche acquisizioni che non direttamente impattano sulla sicurezza nazionale,» ha spiegato Marco Marazzi, avvocato, responsabile del desk Cina di Baker&Mckenzie, in un'intervista a Class Cnbc, la rete televisiva del gruppo Class Editori.

L'intervento, anche non motivato in alcuni casi, del Cfius avrebbe rallentato il flusso di investitori cinesi. «Un secondo motivo che ha causato questo calo dipende dal fatto che dal 2017 il governo cinese ha cercato di raffreddare il flusso di investimenti verso l'estero perché  ha notato che alcune grandi aziende si erano molto indebitate  per fare acquisizioni pagando prezzi eccessivi o per comprare asset non propriamente strategici, per esempio,  le squadre di calcio. Però il governo cinese non ha bloccato gli investimenti all'estero, ha solo orientato gli investimenti verso cose utili anche alla Cina,» ha aggiunto Marazzi, autore insieme a Luca Ciarrocca, di "Intervista sulla Cina. Come convivere con la nuova superpotenza globale" (Gangemi Editore) in cui dedica un'intero capitolo, il quarto, forse il più significatico, a esaminare gli effetti e le opportunità create dalla Belt & Road Iniziative per le aziende.

Il rallentamento degli investimenti cinesi all'estero è destinato ad avere effetti negativi anche in Italia? «Se si parla di tecnologia, il primo paese a cui pensa un' azienda cinese è la Germania, sopratutto per la meccanica, solo in seconda battuta alla Francia e all'Italia. Quindi l'impatto sarà meno vistoso,» ha spiegato Marazzi, che per 18 anni ha vissuto in Cina, avvocato d'affari prima da Chiomenti poi da Baker & McKenzie.

«La cosa significativa è che mancano gli investimenti greenfield: non vedo aziende cinesi arrivare in Italia per ampliare o costruire una fabbrica da zero. Vedo solo acquisizioni, il modo più pratico e veloce per entrare nel paese, ma che non aggiunge capacità produttiva. Le aziende cinesi sanno che l'Italia non è uno dei paesi più convenienti per fare industria e quando guardano all'Europa preferiscono i paesi dell'Est, la Repubblica Ceca, la Slovacchia o l'Ungheria».

Secondo Marazzi l'espansionismo cinese in Africa potrebbe essere un'opportunità anche per le aziende italiane. «Nei grossi investimenti infrastrutturali della Cina in Africa, in cambio di risorse minerarie, penso che si possa avviare una collaborazione con i colossi del Dragone, se però le modalità diventano più trasparenti e seguono regole condivise. Perché in Africa si opera in situazioni un po' al limite, in alcuni paesi vige uno stato di diritto dubbio,» ha aggiunto, «comunque è possibile, anche se ancora per poco, cercare di trovare un accordo su come intervenire in Africa e in quali settori tra Cina ed Unione Europea, perché i singoli Paesi non hanno il peso negoziale necessario».

 


Chiudi finestra
Accedi