Con i suoi 800 milioni di residenti nelle campagne, la Cina ha sempre posto l’attenzione sull’agricoltura, "la terra" di fenogliana memoria, per garantire gli alimenti base a tutta la popolazione. Di questi residenti una parte vive nelle province nordoccidentali di Jilin, Liaoning ed Helongjian che da sole rappresentano nel Paese oltre il 20% della produzione nazionale di grano senza contare quella di granoturco e riso.
Il Covid ha attaccato Jilin di cui un terzo dei suoi contadini non aveva fertilizzante a sufficienza alla fine di marzo, cioè a solo tre settimane dalla preparazione del terreno e dalla semina. Con contadini e trasportatori in quarantena è diventata difficile l’attività quotidiana.
I trasporti su gomma all’interno della provincia sono inesistenti e con le altre province praticamente impossibili: Gelinduo, società leader nella provincia dell’Hebei per la produzione di fertilizzanti, nonostante gli ordini da evadere, non è in grado di organizzare le consegne.
Sono richiesti infatti i test PCR agli autisti i quali si rifiutano per il timore di tornare a casa con il premio di quattordici giorni di quarantena con la conseguenza che anche il corridoio verde concesso dalla provincia non può essere operativo. Le leggi della natura, anche con una agricoltura meccanizzata ma gestita in plein air, sono rimaste le stesse nei secoli e se non si seguono i ritmi della natura si perdono i raccolti.
Con queste premesse sarà difficile ragguagliare i risultati dello scorso anno quando vi era stata una produzione record di grano pari a 683 milioni di tonnellate, il 2% in più rispetto all’anno precedente secondo NBS (National Bureau of Statistics).
In Cina duecento milioni di persone sono attualmente in lockdown e non si conosce la fine di questo otium forzato. A oggi, segnali di decrescita dei casi non ve ne sono: come si pensa di affrontare una potenziale mancata produzione di 150 milioni di tonnellate. La differenza potrà solo arrivare dalla Russia che, con l’Ucraina, esporta il 29% del grano mondiale.
La Cina apparentemente è autosufficiente per quanto riguarda la produzione di grano con il 93,51% avendone importato solo 165 milioni di tonnellate e 9,7 milioni di farina. Alle critiche di ammasso di grano in questi giorni risponde che "non ammassa grano. Le importazioni sono usate solamente per contribuire al gap della produzione domestica" (Yu Chunhai, Remin University).
Con il 91,16% di produzione di granoturco, le importazioni sono minime, mentre invece per l’orzo che rappresenta solo nella produzione domestica il 24,32% e il 22,36 per i girasoli, la dipendenza dalle fonti estere è elevata e si ricorda il contenzioso su vino e orzo con l’Australia di due anni fa. Di riso sono state importate solo 4,47 milioni di tonnellate come gesto significativo verso Myanmar e Cambogia.
Un’altra risorsa agricola è la soya che veniva importata prevalentemente dagli Stati Uniti con 96.5 milioni di tonnellate; oggi il Governo centrale non potendo incrementare di molto le aree destinate alla produzione di soya ha chiesto alle imprese interessate (mangimifici e allevatori) di localizzare all’estero le colture e, con il flusso della Via della Seta, l’Africa è uno dei luoghi prescelti.
Ma il capitolo più importante è quello concernente i feritilizzanti di cui la Russia è uno dei maggiori produttori nel mondo: da questo Paese e dalla Bielorussia l’anno scorso è stato importato in Cina il 53% del potassio utilizzato il cui prezzo incide tra il 33% ed il 44% dei costi operativi di produzione del grano.
Venendo meno l’approvvigionamento le conseguenze si faranno sentire sulla resa per ettaro e sul margine di guadagno dei contadini. Sul Farmer’s Daily, un bollettino affiliato al Ministero cinese dell’Agricultura, si esprime preoccupazione sul prezzo dei fertilizzanti: “La situazione globale è complessa, la fornitura di fertilizzanti è a rischio, specialmente le importazioni di potassio”.
Una voce fuori dal coro, quella di Zhang Jinqiang, di Huatai Security, una delle principali compagnie cinesi di assicurazioni, sostiene che: ”Se la situazione delle campagne è ben controllata e la fornitura di sementi e fertilizzanti verrà garantita, l’impatto diretto sulla produzione agricola sarà relativamente minimo”.
Forse, anche in Cina vanno ripensati gli atavici “orti di guerra” che qualcuno con qualche fazzoletto di terra ha rimesso in vita nelle grandi città.
Solamente vent’anni orsono, passando in macchina o in treno in alcune province si potevano osservare le rive dei fossati coltivate con verdure, piccole pozze d’acqua per il riso o bionde spighe di grano battuto poi sulle strade polverose e poco frequentate. In questi anni, nella più grande trasformazione del Paese, a parte le destinazioni del suolo a uso agricolo, i piccoli appezzamenti sono stati fagocitati dalla rivoluzione edilizia che ha creato il volano primario dello sviluppo cinese.
Con l’attenzione in questi giorni posta soprattutto sul settore manifatturiero quale leva per l’esportazione e per carburare i consumi interni, l’argomento agricoltura era stato accantonato. Ma oggi che a Shanghai scarseggiano i generi alimentari per i prolungati ed indefiniti lockdown, l'attenzione a ciò che succede nella campagne ha ripreso quota dal momento che la popolazione trasversalmente interessata è alla ricerca di cibo.
A questo proposito il Presidente Xi Jinping ha ripetuto ancora una volta recentemente che “la ciotola di riso del popolo cinese deve essere mantenuta saldamente nelle loro mani”. Tuttavia il rischio è di avere complessi residenziali vuoti di società a un passo dalla bancarotta e mulini inattivi senza spighe da macinare.
Ricordava Confucio: “Le granaglie più preziose sono quelle che nutrono l’uomo, ma finchè non sono mature valgono meno del loglio”. (riproduzione riservata)
*managing director a Shanghai di Savino Del Bene, azienda di trasporti internazionali e logistica. Vive e lavora in Cina da oltre 25 anni