La notizia che il governo potrebbe impedire la vendita di un'azienda di semi di Cesena, la Verisem, alla multinazionale svizzera, Syngenta, lascia abbastanza interdetti, per vari motivi.
Primo perché visto che viene citata la "sicurezza economica nazionale" come motivazione, quando si pensa a questo concetto si immaginano settori come telecomunicazioni, infrastrutture essenziali, energia. Non certo le sementi che sono già da tempo in mano a una decina di multinazionali, le uniche che riescono ad investire le cifre necessarie per svilupparne sempre di nuove, più resistenti e più varie.
Secondo perché l'azienda, il cui gruppo ha sede legale in Olanda, è già di proprietà straniera, di un fondo americano per precisione, che l'ha fatta crescere fin dal 2015 ed espandere in altri mercati e che sta facendo la sua inevitabile "exit". Si tratta quindi di un passaggio da un proprietario straniero ad altro proprietario straniero.
Terzo infine perché, mentre i commenti positivi della Coldiretti - organizzazione che negli ultimi anni si è opposta pure al famoso "grano canadese" - sembrano tutti concentrarsi sulla posizione dominante che avrebbero assunto alcune multinazionali del settore, lo stop, semmai avverrà, non sembra essere motivato da considerazioni antitrust. Ma appunto potrebbe avvenire sulla base della normativa c.d. "Poteri Speciali" che invece guarda alla "strategicità" di un settore.
La stampa non ha mancato di osservare che la società acquirente svizzera è sotto controllo di una società cinese. Si spera però che non sia questa la motivazione per un possibile divieto dell'operazione, perché se come detto sopra il tentativo dei cosiddetti "Poteri Speciali" è evitare che aziende italiane in settori importanti per la sicurezza nazionale finiscano sotto controllo estero, l'azienda in questione era già sotto controllo "estero" da un pezzo. Né risulta che ci fosse un altro compratore "italiano" in vista.
Se invece trasparisse che il motivo vero è la nazionalità specifica ultima di chi controlla il compratore, si aprirebbe un precedente preoccupante. Già delle oltre 340 operazioni che sono passate attraverso le forche caudine dei Poteri Speciali nel 2020 le uniche due vietate riguardano acquirenti cinesi.
Ad altre sono state imposte delle condizioni, ma nessuna è stata vietata tout court come avvenuto per i due casi cinesi. Se la terza venisse vietata unicamente per lo stesso motivo - il passaporto del socio ultimo dell'acquirente - è inevitabile che qualcuno a Pechino o Shanghai finisca per interpretare i "Poteri Speciali" come un tentativo di impedire investimenti cinesi in Italia (peraltro ridottisi al lumicino negli ultimi due anni). E non - come dichiarato a suo tempo - di tutelare alcuni settori chiave tenendoli il più possibile sotto proprietà italiana in una fase emergenziale.
Una lettura paradossale e forse anche pericolosa per i rapporti economici tra Italia e Cina, che vanno bene nonostante tutto, con grande beneficio anche per aziende italiane. È vero, la Cina stessa ha una lista molto dettagliata di settori in cui l'investimento straniero è vietato o "limitato" (per esempio non si può avere la maggioranza); anche se è stata ridotta parecchio negli ultimi tre anni, si tratta comunque di circa un centinaio settori. Ma il divieto o le restrizioni in questo caso di applicano a TUTTE le società straniere e non solo ad "alcune" in base al passaporto.
E questo porta ad un'altra considerazione. In Italia una lista simile a quella cinese, che scende nel dettaglio, non esiste. Si è lasciata invece al governo un'ampia flessibilità nel poter "interpretare" i vari decreti che formano la base dei Poteri Speciali per farvi rientrare questo o quell'altro settore. In altre parole, in Italia vige ora quella stessa imprevedibilità ed incertezza che vigeva in Cina fino a 10-12 anni quando qualsiasi investimento era soggetto ad autorizzazione governativa.
Siamo sicuri che un paese che vuole attrarre investimenti esteri - e che non è la seconda economia al mondo - stia dando il messaggio giusto? (riproduzione riservata)
* avvocato, presidente del think tank Easternational