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Politica

Il 70% dei manager italiani in Cina è molto ottimista sui prossimi 5 anni

Lo rivela un sondaggio approfondito della Camera di commercio italiana a Shanghai sulle base di interviste a oltre 300 manager e professionisti realizzate in ottobre e novembre scorso. Class-Xinhua ha intervistato i membri del board della Camera per commentare il sorprendente risultato che emerge proprio nell'anno della pandemia globale


15/02/2021 19:06

di Pier Paolo Albricci - Class Editori

settimanale
Paolo Bazzoni, presidente della Camera di commercio italiana in Cina

La Camera di Commercio italiana in Cina, che associa circa 600 delle oltre mille imprese italiane che operano in quel mercato, ha reso noto nei giorni scorsi i risultati dell terza inchiesta fra gli associati sul loro sentiment rispetto al mercato in cui operano e le previsioni di crescita.

A sorpresa il 70% degli intervistati, top manager e professionisti, delle oltre 300 imprese si è dichiarato molto ottimista rispetto alle prospettive di business in Cina nei prossimi 5 anni, contro il 7% di pessimisti. Ma il il dato più sorprendente che nell’analogo survey pubblicato un anno fa, quindi sulle interviste raccolte alla fine del 2019, gli ottimisti erano al 51%. Che cosa ha generato una crescita così significativa in un anno caratterizzato dall’esplosione della pandemia da Covid?

Class-Xinhua lo ha chiesto a Paolo Bazzoni, presidente della Camera e membro del board di Bonfiglioli China, a Marco Leporati, ceo di Savino Del Bene, che vive e lavora a Shanghai da oltre 25 anni, e a Matteo Tanteri, vicepresidente della Camera e ceo di Snam Gas&Energy che a Pechino sta aprendo il business delle infrastrutture energetiche per il gruppo italiano.

Bazzoni: Sicuramente questo ottimismo deriva dal fatto che in quest’ultimo anno le aziende localizzate hanno reagito con prontezza agli stimoli del mercato domestico e hanno visto crescere il mercato. Questa capacità di reazione va valutata insieme a un altro dato significativo. La maggioranza delle imprese ottimiste sono in Cina da almeno 10 anni. Il che significa che chi ha investito sulla localizzazione ha il vantaggio di poter sfruttare il ciclo economico al meglio e nel momento opportuno.

D. Può fare un esempio?
Bazzoni. Parlo del caso che conosco meglio, la Bonfiglioli. Nel 2020 non solo abbiamo raggiunto il record di fatturato, circa 200 milioni di euro, ma siamo stati anche il maggior contribuente estero al fatturato consolidato del gruppo. Negli ultimi 5 anni abbiamo più che raddoppiato il fatturato e i dipendenti, che sono tutti cinesi, compreso il general manager, cresciuti da 70 a 200 nello stesso periodo. Ci siamo trovati con i giusti livelli di qualità e di prodotto nel momento in cui sono partiti i grandi investimenti nella produzione di energia eolica, con la costruzione di wind farm, sia onshore che offshore. Questi risultati non sono un caso isolato, anzi nel settore della componentistica industriale e della meccanica la stragrande maggioranza delle aziende italiane presentano dati analoghi.

D. Quindi il suo consiglio a chi guarda alla Cina?
Bazzoni: Bisogna capire che è il momento di attaccare ancora di più, quindi investire eventualmente anche facendo acquisizioni.

D. Tra gli ottimisti c’è anche un 17% di piccole e medie aziende che sono in Cina da meno di tre anni. Come si spiega?
Bazzoni: Sono aziende più legate al settore retail che quindi hanno beneficiato della ripresa dei consumi, anche in questi casi si conferma l’importanza di una presenza locale, soprattutto nelle nuove aree di sviluppo, dove viene premiata la qualità. Ma bisogna essere pronti a cogliere le opportunità che si creano e questo può avvenire se si hanno le antenne qui.

Leporati: Attenzione comunque a non perdere di vista che mentre in Europa, tra un lockdown e l’altro si è lavorato molto meno e i consumi sono stati bloccati per 6 mesi, la Cina si è fermata solo per 2 mesi nel 2020. Tuttavia è indubbio che la dual circulation che ha posto l’accento anche sull’export per sostenere la crescita, abbia dato una spinta significativa. Ricordo che l’anno scorso, alle prime avvisaglie della pandemia in Cina, molti analisti e manager preconizzavano che era arrivato il momento di delocalizzare puntando sui paesi vicini. Invece è successo che a fine anno si è registrato un aumento record delle esportazioni cinesi, addirittura del 20% sulla rotta transpacifica, quindi verso gli Usa, e che in giro non ci sono abbastanza container per spedire le merci, con i prezzi schizzati alle stelle. Voglio dire che la Cina, mercato numero uno al mondo per i consumi, resta anche la fabbrica del mondo e lo sarà anche in futuro. Perchè, come indica il settore dell’auto diventerà una fabbrica di qualità, grazie agli investimenti in tecnologia che sono stati fatti ovunque. E poiché i costi per unità di prodotto sono diventati competitivi, il prodotto finale è anche esportabile, oltre che richiesto dai consumatori cinesi. La conferma è che tutti i produttori di auto in questo momento hanno bisogno dei semiconduttori cinesi e le fabbriche americane rischiano di fermarsi o rallentare perché non ne arrivano abbastanza.

D. Ma la dinamica del costo del lavoro non rallenta la convenienza degli investimenti?
Bazzoni: Dal survey emerge che non è la preoccupazione principale di chi fa impresa qui, d’altra parte negli ultimi tre anni l’aumento medio di questa voce è stato intorno al 10%, dato non trascurabile ma bilanciato dal recupero di produttività ottenuto installando impianti moderni, a guida digitale, che fanno anche risparmiare manodopera. Vorrei aggiungere che in più in Cina le cose funzionano perché c’è organizzazione, che è uno dei motivi per cui la delocalizzazione verso i paesi minori del sud est asiatico, con l’eccezione del Vietnam, spesso non conviene.

D. I programmi sull’energia, uno dei settori portanti dei prossimi investimenti del governo, possono essere alla base delle buone prospettive emerse nel survey?
Tanteri: Il panorama si è rivoluzionato da quando il presidente Xi Jinping ha affermato all’assemblea delle Nazioni Unite che l’obiettivo della Cina è la completa decarbonizzazione entro il 2060. Non lo ritengo un obiettivo raggiungibile però delinea un impegno del governo e quindi di tutte le grandi aziende pubbliche in mano allo Stato che si stanno già muovendo in quella direzione. Tutte si stanno attrezzando con apposite divisioni, facendo i loro piani. D'altra parte, la Cina l’anno scorso ha aperto un numero record di nuove centrali a carbone la cui vita media è di circa 25 anni, ma è stato anche il paese che ha prodotto più Gw da energia eolica. Inoltre, va detto che la sensibilità media del cittadino cinese che abita nelle grandi aggregazioni urbane alle questioni ambientali e alla qualità dell’aria è molto elevata, più di quella di un milanese medio. Quindi la pressione dell’opinione pubblica sul governo sarà costante. È certo comunque che il mix energetico che oggi dipende per il 60% dal carbone sarà rivoluzionato e la produzione di energia da fonti rinnovabili, sole e vento in primo luogo, acquisterà molto peso, progressivamente man mano che i costi di produzione diminuiranno come è avvenuto in Europa. Siamo all’inizio di una svcolta epocale.

D. Quali sono gli obiettivi di Snam in questo contesto?
Tanteri: Il governo ha riordinato le attività nel settore delle infrastrutture energetiche con la creazione di Sinopec, un gigante da 80 miliardi di dollari di capitale, che ha accentrato tutte le attività infrastrutturali nel campo dell’energia. Con questa società Snam ha firmato un accordo di collaborazione, il primo che Sinopec ha stipulato, per cooperare su vari terreni. Il primo è nello stoccaggio di gas, in cui Snam ha tecnologie e know how d’avanguardia. La Cina ha una bassissima capacità di stoccaggio pari al 3% della domanda, mentre in Italia è al 25%. Sinopec è interessata a quanto Snam fa in questo campo, che per altro è affine alla ricerca di nuovi giacimenti. Si tratta di investimenti nell’ordine di centinaia di milioni per ogni impianto di stoccaggio nel sottosuolo. Poi con Sinopec c’è un discorso aperto anche sull’idrogeno, dove la Cina è decisa a giocare una partita importante, e sulla produzione di biometano dai rifiuti urbani, la cui raccolta differenziata è incominciata a Pechino e Shanghai, e dalle discariche del settore agricolo.

D. Dal survey emerge che la scelta del territori in cui localizzarsi in Cina è strategica. Come opera Camera di commercio per aiutare le imprese?
Bazzoni: La scelta dei territori su cui insediarsi è fondamentale perché la Cina è un continente con grandi diversità, le cui province sono spesso grandi come Stati e organizzati come tali. Il loro sviluppo segue, però, gli indirizzi di politica economica dettati da Pechino, in maniera molto trasparente e con continui aggiornamenti sui progressi compiuti, progetti realizzati, qualità dell’ambiente, lotta alla povertà e così via. Nel sud si è formata così l’area di Shenzhen, dove si appoggia lo sviluppo dell’economia digitale, dell’energia e dell’intelligenza artificiale, il sudovest è concentrato soprattutto sullo sviluppo della manifattura secondo i principi della fabbrica 4.0, l’isola di Hainan viene lanciata come polo di aggregazione per i brand di qualità, Shanghai, come è noto, aspira ad essere il centro finanziario del paese.

D. Quindi il vostro ruolo?
Bazzoni. La nostra strategia è di allacciare rapporti privilegiati e partnership con le amministrazioni di questi territori, da Chonquing, a Tianjiin, allo Shandong, a Hainan, per avere visibilità e autorevolezza a vantaggio delle nostre aziende e per fare un’attività di advisory più puntuale. Un conto infatti è avere delle generiche linee guida, un altro è agire concretamente nei rapporti con un’amministrazione per facilitare un insediamento o finanziamenti, o assistere l’azienda nel caso di controlli ambientali, sempre più stringenti in alcune aree, per esempio a Suzhou, l’area industriale vicino Shanghai che ospita il maggior numero di piccole e medie realtà italiane. Sono situazioni in continuo mutamento che possono portare anche a scelte di delocalizzazione Cina su Cina. In questi casi le relazioni con le municipalità possono rappresentare un fattore decisivo.

Leporati: Fino a una decina di anni fa la tradizione manifatturiera cinese seguiva la formula dei distretti molto simile a quella italiana, per cui a Ningboo si producevano tutta la cartoleria, piuttosto che a Xiamen l’abbigliamento sportivo o i piccoli elettrodomestici nel Guandong e la meccanica nello Shandong. Ora biologia e innovazione stanno facendo cambiare pelle anche a queste tradizioni, ma resiste la matrice del distretto soprattutto in alcune aree, che è bene conoscere e valutare attentamente quando un’azienda si deve insediare e valutare le opportunità di outsourcing o della catena di fornitori. In ogni caso il vantaggio in Cina è costituito dall’efficienza delle vie di comunicazione, che si tratti di strade o ferrovie, in continua evoluzione e con percorsi sempre più rapidi ed efficienti. (riproduzione riservata).


 


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