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Politica

Incentivi fiscali e focus sull'Asia, è la ricetta per l'export italiano

Secondo il presidente dell'Ice, la ripresa già ben avviata nel primo semestre va spinta ancora con forti investimenti nel capitale organizzativo e finanziario, sostenendo soprattutto le pmi. La proposta è un'aliquota fiscale dimezzata sui ricavi generati all'estero


22/07/2021 13:03

di Carlo Maria Ferro*

settimanale
Carlo Maria Ferro, presidente di Ice

L'export italiano è ripartito come volano della ripresa post pandemia, così come dopo la crisi del 2008. Lo indicano i dati recentemente presentati da Ice e Istat. Nei primi cinque mesi del 2021 l'export ha registrato una crescita tendenziale del 23,9% e, soprattutto, una crescita del 3% sull'analogo periodo del 2019. Quindi è già sopra ai livelli pre-covid. La domanda di importazioni nel mondo è stimata da Ice-Prometeia crescere del 8,9% quest'anno e del 6,4% nel 2022.

Cogliere queste opportunità richiede per le imprese italiane di affrontare nuove sfide. Tra queste, lo spostamento della domanda verso i canali digitali, accrescendo il grado di digitalizzazione dei propri processi d'impresa, e lo spostamento del baricentro del commercio mondiale verso l'Asia, attrezzandosi ad affrontare mercati in cui la quota di mercato del Made in Italy (nell'ordine del 1%) è circa un terzo rispetto alla media nel commercio mondiale (2.85%).

In una parola, investire capitale organizzativo e finanziario. Questa sfida è ancor più impegnativa se si considera il tessuto di pmi che costituisce l'export italiano: il 77% delle esportatrici ha un fatturato inferiore a 750 mila euro e genera solo il 2% del valore dell'export. L'opportunità di rafforzare queste imprese sui mercati esteri è una leva di crescita del pil e dell'occupazione, particolarmente in questa fase di ripartenza dei mercati, di ridefinizione delle catene del valore globali e di confronto su nuovi paradigmi competitivi, innovazione e sostenibilità.

Il rafforzamento dell'azione di supporto di sistema guidato dal Patto per l'Export, tra cui le 15 nuove azioni dell'Ice per le pmi e i fondi Simest, va in questa direzione. Ora è il momento di considerare una misura fiscale che incentivi le imprese a investire nei processi di internazionalizzazione.

Altri paesi lo stanno già facendo da anni. Negli Stati Uniti, per esempio, la Foreign Derived Intangible Income offre una riduzione di imponibile fiscale per il reddito generato all'estero, comprese le esportazioni di beni, nella misura del 37,5% sul reddito eccedente il 10% di ritorno sul capitale investito. Superata questa soglia di ritorno, il reddito derivante dalle esportazioni è tassato ad una aliquota del 13,125%. Una simile norma potrebbe favorire in Italia sia investimenti e spese per l'internazionalizzazione da parte delle imprese nella fase di ripartenza dei mercati, sia il re-shoring di attività di produzione, logistica e distribuzione uscite dall'Italia per ragioni fiscali.

Per esperienza, norme di questa natura funzionano solo se sono semplici nell'applicazione e non richiedono specifici adempimenti contabili. Penso quindi all'applicazione di una aliquota Ires dimezzata (12%) in proporzione dei ricavi generati per vendite a soggetti fiscali extra Ue sul totale dei ricavi. Per esempio: un'impresa che fatturi 1,000, di cui 450 esportati fuori dall'Ue ed abbia un reddito imponibile complessivo di 200 , pagherebbe Ires ad un'aliquota del 18.6% (450/1000 x 12% + 550/1000 x 24%) con un risparmio di imposte pari al 5,4% dell'imponibile.

Nel rispetto alle regolamentazioni comunitarie e con attenzione alle relazioni con i Paesi Ue, in una fase politica di armonizzazione dei comportamenti fiscali fra i Paesi membri, il campo di applicazione proposto riguarda il solo export verso Paesi non membri della UE. La portata economica della norma resterebbe valida rispetto agli obiettivi di incentivare le spese per accedere a nuovi mercati e di rimpatrio da aree low tax.

I Paesi extra-Ue, infatti, rappresentano oggi il 50,7% delle esportazioni e costituiscono le aree a maggiore potenziale di crescita e necessità di investimento per entrarvi o crescere da parte delle imprese. Ulteriori limitazioni dovrebbero essere considerate per escludere le transazioni intergruppo e non agevolare trasformazioni di filiera ad alto contenuto di importazione e basso valore aggiunto locale. Abbiamo stimato l'impatto della norma sul gettito annuale nell'ordine dei 900 milioni di euro all'anno su un gettito Ires da imprese manifatturiere di 8 miliardi di euro.

L'export genera il 30% del pil italiano e ogni euro di incremento cattura per il Made in Italy domanda generata dall'economia di altri Paesi. Nel quadro degli interventi in corso e nello spirito di promuovere i settori dell'economia che funzionano, sono convinto che possa esserci il merito per considerare un intervento di questa natura. (riproduzione riservata)

*presidente Ice


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