La vicenda IVECO- FAW ha generato molto interesse nella stampa specializzata negli ultimi mesi e, di recente, è stata anche oggetto di dichiarazioni da parte di esponenti politici, incluso il Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti.
Il gruppo italo-statunitense CNH ha deciso nel 2019 di disinvestire da due sue controllate, IVECO e FPT, attraverso una quotazione in borsa o una cessione ad acquirente strategico. IVECO è un marchio storico nel settore dei veicoli commerciali e degli autobus, anche se in difficoltà da qualche anno - già prima del Covid - mentre FPT è una società all'avanguardia nel settore dei motori e trasmissioni.
La scelta di CNH è stata per la seconda ipotesi, cioè la vendita ad un investitore strategico. FAW, che si è fatto avanti, è tra i primi gruppi cinesi produttori di auto ed ha una storica presenza anche nei settori in cui opera IVECO; di recente ha anche annunciato un co-investimento con un gruppo americano in una joint venture per la produzione di veicoli elettrici in Emilia-Romagna.
L'offerta del gruppo FAW sarebbe per tutta l'IVECO, che a sua volta controlla anche una società tedesca market leader nei veicoli antiincendio, e per una partecipazione in FTP. Sarebbe esclusa la divisione Difesa dell'IVECO, le cui attività sono concentrate soprattutto in uno stabilimento che produce veicoli per l'esercito italiano, tra cui il famoso "Lince".
Le trattative tra il gruppo CNH, controllato dalla famiglia Elkann, e FAW sono ancora in corso ed è, quindi, di difficile comprensione il trambusto che l'operazione ha generato nel mondo politico, portando appunto il Ministro Giorgetti - tra gli altri- ad invocare la possibile applicazione dei Poteri Speciali.
Come è noto, fin dal 2012 l'Italia si è dotata di una disciplina per il monitoraggio di acquisizioni straniere in alcuni settori, definita comunemente come "Golden Powers" o Poteri Speciali. Originariamente concentrata sui tradizionali settori della difesa, telecomunicazioni ed energia è stata ampliata poi nell'autunno 2019 per includere le reti di trasmissione dati e con il Decreto Liquidità del 2020 è arrivata a toccare anche settori che prima erano totalmente fuori dallo scrutinio governativo, tranne per i profili antitrust, ovviamente.
Con i Poteri Speciali il governo si attribuisce il potere di sospendere un'acquisizione, anche di quote minoritarie, di un'azienda che opera in Italia se questa può recare pregiudizio alla sicurezza del paese, all'interesse nazionale e al funzionamento in sicurezza delle varie reti essenziali per il paese. Il governo, che ha comunque un tempo limite per decidere, può approvare o vietare l'operazione oppure imporre condizioni per l'approvazione.
I settori inclusi nel Decreto Liquidità erano talmente vasti e vagamente definiti da rendere difficile valutare se un'operazione fosse soggetta o meno allo scrutinio governativo, portando quindi molti investitori a scegliere di notificare comunque al governo l'operazione e quindi "intasando" il sistema e ritardando o bloccando la conclusione di operazioni che non hanno alcun impatto appunto sulla sicurezza del paese.
Il governo è quindi intervenuto di nuovo nel dicembre 2020 per definire meglio i settori di interesse, concentrandosi soprattutto su quello dell'energia, telecomunicazioni e infrastrutture ma anche nel settore della raccolta e gestione dati personali e in quello delle tecnologie avanzate, per esempio per il settore sanitario e biomedicale.
È difficile rintracciare sia nel Decreto Liquidità che nei nuovi interventi normativi riferimenti al settore dei veicoli commerciali. Una possibile inclusione nell'ambito dei Poteri Speciali si potrebbe ipotizzare se le società acquisite operano nei settori "dual use" cioè in prodotti che possono essere usati anche a scopo militare. La UE da tempo ha adottato regolamenti a controllo dell'export di questi prodotti, ma si tratta perlopiù di tecnologie che possono essere utilizzate nel settore degli armamenti: quindi di prodotti militari o apparecchiature di produzione controllo o analisi per lo sviluppo dei prodotti miliari oppure prodotti non finiti che vengono utilizzati in impianti di produzione di prodotti militari.
Resta quindi difficile capire in che modo il governo possa intervenire nell'operazione FAW-IVECO, a meno di non voler ampliare a dismisura l'interpretazione anche dei decreti più recenti, o - peggio - farne uno ad hoc che vada a coprire (retroattivamente) il settore in cui operano queste società.
Questo non farebbe che rendere ancora più incerto il quadro regolamentare per gli investitori stranieri oltre ad esporre l'Italia alle accuse di imprevedibilità del sistema legale che invece abbiamo tradizionalmente rivolto ad altri paesi. Se FAW poi, a quanto sembra, è l'unico investitore che si è fatto avanti, le alternative sarebbero difficili da immaginare posto che la decisione di CNH di uscire dal settore sembra definitiva.
Il governo italiano ha una ovvia preferenza per l'investitore "greenfield" cioè quello che costituisce una nuova società, meglio se manifatturiera, rispetto a quello che compra un'azienda esistente, ma dei primi si sono visti pochi esempi negli ultimi anni, nonostante gli sforzi del governo di incentivarli, e comunque in settori nuovi o high-tech.
Anche un'acquisizione però, se supportata da un piano industriale solido che tiene conto anche degli impegni presi verso la forza lavoro e il mercato, può avere un effetto importante, evitando crisi aziendali o risollevando società attraverso l'apertura di nuovi mercati. Questi, più che la nazionalità dell'investitore, dovrebbero essere i criteri con i quali il governo giudica un investimento in un settore che - una volta escluso il ramo Difesa - è veramente difficile considerare vitale per la "sicurezza del paese". (riproduzione riservata)
* avvocato, partner studio Baker McKenzie